di Stefano Pazienza

La crisi causata dalla pandemia imporrà all’Italia la necessità di individuare misure volte a “fare cassa”; alcune di queste sono già allo studio, ma il solo parlarne ha scatenato le comprensibili levate di scudi nelle fasce di popolazione che ne sarebbero maggiormente colpite (ad esempio, la famigerata “patrimoniale”).

Si potrebbero tassare maggiormente i consumi, aumentando di uno o più punti percentuali l’IVA applicata; ma oltre ad essere una misura fortemente impopolare, rischia di essere un vero e proprio bagno di sangue per i redditi medio bassi, che vedrebbero ulteriormente diminuito il proprio potere di acquisto.

Occorre, quindi, individuare delle misure economiche diverse, che creino gettito senza impoverire ulteriormente la popolazione.

Una di queste misure potrebbe essere la legalizzazione della cannabis. Alcune dinamiche di questo mercato (fino ad oggi necessariamente sotterraneo) sono emerse proprio grazie al distanziamento sociale imposto in questo periodo.

Il mercato della cd. “canapa light” (legale in quanto avente basso contenuto di TCH, principio psicoattivo dei cannabinoidi) è uno di quei pochissimi settori che hanno tratto giovamento dalla quarantena: le vendite nel solo mese di marzo 2020 hanno superato quelle dell’intero 2019!

Il perché è semplice. La foltissima schiera di consumatori italiani di cannabis (illegale), non avendo più facili canali di approvvigionamento, si è rivolta al mercato alternativo della canapa light (con spedizione a domicilio).

Questi consumatori, che fino al mese scorso si rifornivano nel mercato illegale, sono per la maggior parte over 30, con famiglie e con redditi medio-alti (solo chi ha una situazione agiata può permettersi in questo periodo di spendere decine o centinaia di euro in attività ludiche). Questa platea di consumatori sarebbe ben felice di potersi rivolgere al mercato legale, pagando le necessarie tasse e senza correre il rischio di avere guai legali a causa del loro vizio.

Peraltro, le accise applicate alla cannabis (presumibilmente pari a quelle del tabacco, circa il 60%) non farebbero alzare il valore del prodotto: quello che oggi paga il consumatore finale è l’alto rischio che corrono le organizzazioni criminali nell’attività di approvvigionamento internazionale di cannabis e i numerosissimi passaggi di mano che la sostanza fa prima di essere consumata: tutti questi costi verrebbero meno in un mercato legale, e verrebbero sostituiti dalla tassazione.

Vi sono numerosi studi che parlano di possibili introiti diretti di almeno 4 miliardi di euro l’anno, senza contare i risparmi derivanti dal minore dispendio di risorse da parte delle forze dell’ordine per combattere lo spaccio di cannabis, l’alleggerimento del carico dei Tribunali (oggi i processi per spaccio di cannabis rappresentano una fetta importante dell’attività giudiziaria), nonché gli effetti positivi che avrebbe sull’intero settore agricolo italiano.

Quello del rapporto tra legalizzazione della canapa e promozione dell’agricoltura italiana è tema che merita un piccolo approfondimento. Di certo non si può pensare che la legalizzazione non passi anche per un controllo sulla produzione del prodotto; dovrebbe essere imposto che la cannabis venduta in Italia provenga dal nostro Paese o da altri Paesi in cui la coltivazione è legale. Ciò sia per motivi etici (non si può pensare ad una legalizzazione che lasci in mano alle mafie l’attività di coltivazione o importazione della canapa), sia per motivi puramente economici: la legalizzazione deve passare per la promozione della filiera produttiva italiana.

L’Italia, infatti, ha un clima perfetto per la coltivazione di questa pianta (tanto da essere il secondo produttore mondiale della canapa da fusto negli anni ’20) e la legalizzazione della canapa ad uso ricreativo, abbattendo un tabù, avrebbe effetti positivi anche per le coltivazioni finalizzate ad altri scopi: canapa per tessile, per la bioedilizia, a scopi alimentari ecc. La legalizzazione, quindi, potrebbe permettere uno sviluppo dell’intero comparto agricolo, tanto importante quanto in crisi da decenni nel nostro Paese.

Infine, non è da trascurare l’impatto che la legalizzazione della cannabis avrebbe sulle organizzazioni criminali. Di certo permarrebbero altri mercati anche più lucrativi (ad esempio, quello della cocaina), e chiaramente è una pia intenzione pensare che la legalizzazione della cannabis porterebbe alla morte delle mafie.

Al contempo si chiuderebbe un mercato in cui oggi queste organizzazioni sono sostanzialmente monopoliste. Non è un caso che Magistrati da sempre impegnati contro le mafie (dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti all’ex Presidente dell’ANAC Raffaele Cantone) si siano in questi ultimi anni espressi in favore di una legalizzazione controllata della cannabis.

La crisi causata dal Coronavirus impone l’adozione di misure economiche coraggiose, ma che non pesino eccessivamente sulla popolazione. La legalizzazione della cannabis è una riforma in utile netto per lo Stato, in perdita netta per le mafie e in sostanziale parità per il consumatore (anzi, con evidenti vantaggi in termini di controllo della qualità del prodotto). È, pertanto, una misura positiva dal punto di vista etico ed economico: l’optimum per una riforma da attuarsi nel momento della ripartenza del nostro Paese.