Con una postilla su sistematica ed etica del giurista nell’epoca del politeismo valoriale.
di Enrico Infante
Abstract
La nouvelle vague della scienza penalistica italiana dà il benvenuto alla riscoperta della creatività della giurisprudenza penale e, in talune sue espressioni, sostiene che non vi siano grandi controindicazioni nella situazione che si è venuta a creare, dato che sono state scoperte due ottimi succedanei, in punto di garanzie, al vecchio “feticcio” della lettera della legge: la ragionevolezza della prevedibilità dell’interpretazione e il correlato prospective overruling, cioè il divieto di retroattività delle interpretazioni imprevedibili sfavorevoli. Tali due nuove garanzie vengono passate in rassegna critica nel presente contributo.
Quanto alla prima, si evidenzia che un’interpretazione nuova si affaccia solo qualora vi sia stata qualche decisione giudiziale che ha reputato condivisibile tale sino ad allora “inaudita” esegesi. Ma così stando le cose, tale novità è per definizione ragionevole, atteso che ha trovato condivisione in alcune decisioni giudiziarie. Invero ragionevole non significa giusto, corretto o condiviso da tutti, ma allude a ciò che è intersoggettivamente difendibile. Difficile allora che tali nuove tesi possano essere tacciate di irragionevolezza, se condivise da un numero significativo di giudici.
Quanto al prospective overruling, verosimilmente nessun giudice lo applicherà mai perché nessun giudice scriverà mai: la classe di comportamenti x, che sino a ieri era penalmente irrilevante, da domani avrà sanzione penale perché io, giudice, lo voglio. Tanto non si verifica neppure nei Paesi di Common Law, cioè nelle patrie delle “nuove garanzie”. I judges di common law, quando ribaltano un precedente, non ammettono di star creando nuovo diritto, ma utilizzano la c.d. teoria dichiarativa, in base alla quale essi non mutano alcun precetto, ma semplicemente ripristinano la regula juris di sempre, quella che le precedenti composizioni delle Corti avevano evidentemente mal inteso. Tale riluttanza di fondo è comprensibile, almeno sino a che si permarrà in sistemi improntati al principio della separazione dei poteri e, più radicalmente, in orizzonti di pensiero istituzionale in cui la categoria del giuridico non è risolvibile in quella del politico. In tali sistemi (tra cui il nostro e tutti quelli appartenenti alla western tradition), il giudice si auto-comprende, e prima ancora viene legittimato dal corpo sociale, sempre in base a un’autorità sapienzale che appare pre-data rispetto alla singola regiudicanda e al suo esito. Di volta in volta essa potrà essere la lex parlamentaria, la ratio sottesa ai diritti fondamentali, l’insieme dei principi costituzionali o convenzionali, delle leggi di natura o dei mores degli avi, ma sarà pur sempre un sapere precostituito quello che legittima il potere giudiziario. Ne discende che, pure se introdotta nel sistema delle fonti scritte, l’Autorità Giudiziaria non richiamerà od applicherà pressoché mai la regola del prospective overruling, poiché non dichiarerà coram populo di essere un decisore politico. E non lo dichiarerà anche e soprattutto perché i giudici non si avvertono, fino in fondo, dei decisori politici. Deve inoltre evidenziarsi che l’auspicato divieto di retroattività dell’interpretazione sfavorevole, se fosse introdotto, produrrebbe forse più disfunzioni che benefici pure nella denegata ipotesi che esso si affermi nella prassi giudiziaria. Esso potrebbe dar luogo ad un’eterogenesi dei fini proprio nell’ottica di chi intende contrastare quegli straripamenti giurisprudenziali estrinsecantisi in interpretazioni analogiche in malam partem. Invero, dal punto di vista ordinamentale, l’introduzione del prospective overruling comporterebbe la legittimazione delle interpretazioni imprevedibili sfavorevoli, una volta “pagato il prezzo” di mandare assolti gli imputati dei primi processi in cui il nuovo irragionevole principio di diritto venga enunciato. Ma allora la vagheggiata nuova regola risulterebbe addirittura pregiudizievole proprio nella prospettiva di chi intende essere il fedele custode di un diritto penale improntato al principio di stretta legalità. Invero, un sistema in cui la regola del prospective overruling fosse espressamente statuita potrebbe facilmente rivelarsi un ordinamento in cui non sia praticamente possibile indurre la giurisprudenza a revirement garantistici per il tramite di battaglie culturali condotte col richiamo alla littera legis, fenomeno che pure talvolta si è registrato.
Ma al di là di ogni considerazione critica sul carattere in larga misura illusorio delle promesse garantistiche del divieto di retroattività per le interpretazioni in malam partem imprevedibili, le ragioni di fondo che militano a sfavore del suo accoglimento poggiano sulla salvaguardia della autonomia della funzione cognitiva del giurista da quella volitiva e sull’idea che vi sia una sfera del sapere che sia irriducibile a quella del potere e alla sua intima essenza decisoria. E la teorica del prospective overruling, proprio perché idonea ad alimentare l’idea che il giudice può creare ex nihilo diritto, è invece in grado di far sbiadire tale linea di confine e, più in generale, quella tra l’intellettuale-giurista, per cui quella ricostruttivo-cognitiva è la (non unica ma) dimensione caratterizzante e il politico-statista, la cui dimensione caratterizzante è la capacità di innovare in base ad atti di volontà. Certo, con ciò non si intende predicare il ritorno a concezioni vetero – illuministiche sul giudice mera bocca della legge. Irrinunciabile è oramai la consapevolezza che quello del giurista è un lavoro di logica, di integrazione, completamento, riordino dei comandi legislativi, conciliazione delle apparenti contraddizioni e sviluppo dei principi generali. Il giurista certo ri-sistematizza indirizzi di politica del diritto tra loro divergenti poiché espressione dei diversi detentori del potere politico succedutisi nel tempo, Preme però evidenziare che egli, al contrario del Princeps, trova almeno un fattore di tale attività sistematizzante che non può elidere o riformulare a suo piacimento con un semplice fiat, e che è il testo della disposizione. In sintesi: dispiegamento dell’attitudine inventivo-combinatoria dell’interprete entro e non oltre il perimetro della littera legis e, pertanto, coltivazione di un habitus mentale che faccia del divieto di interpretazione analogica in malam partem la principale preoccupazione del giurista innanzi all’affacciarsi, nel suo foro interno o nel dibattito pubblico, di nuove ardite esegesi.