di Silvio Gambino

 

Sommario: 1. Tematiche e problematiche poste dall’affermazione dei populismi. – 2. A fine lettura di Populismi e crisi della rappresentanza. Tendenze populistiche ed (esigenze della) democrazia costituzionale.

 

  1. Tematiche e problematiche poste dall’affermazione dei populismi

 

Sulla persistente attualità delle tematiche evocate dal termine populismo (spesso declinato al plurale) nessuno pare nutrire molti dubbi, salvo a definirne la perimetrazione e l’approccio necessariamente multidisciplinare che da più tempo si impone nella ricerca delle sue «plurime» radici, come ora ci ricorda Alberto Lucarelli nel suo bel volume, ancora fresco di stampa (alla cui lettura sono destinate queste pagine di riflessione)[1].

Il tema così accennato indubbiamente potrà attrarre, prima o poi, l’attenzione degli storici (come è già accaduto con i politologi e i giuristi). Attualmente siamo invitati a riflettervi a partire dalla imperdibile lettura del tema che ne ha fatto il prof. Lucarelli con riguardo più specifico alle declinazioni del populismo «nel» e «attraverso le categorie classiche del diritto costituzionale» (p. 15).

Proposta in questi termini, l’analisi appare indubbiamente idonea a offrire spunti di dibattito e argomenti utili da approfondire, quando si rifletta come – nel lasso di tempo (tutto sommato) breve che ci separa dalla nascita dello Stato unitario, nel 1861, e ora dalla declinazione repubblicana che ne fa la Carta costituzionale (ma omologamente dovrebbe dirsi con riguardo a tutta la risalente e recente storia degli altri Paesi europei) – le manifestazioni problematiche (ma anche tragiche) del rapporto fra populismo e costituzionalismo, la loro sottovalutazione nel corso del tempo da parte dei governi e degli stati li ha messi nelle condizioni di doversene fare carico in termini di esiti infausti per come segnati dalla/e guerra/e. La democrazia e la sua effettività, qualora non assistita e “manutenuta” costituzionalmente, infatti, produce il suo contrario e cioè i regimi totalitari e gli esiti bellici con i quali spesso questi ultimi si accompagnano.

Tanto per osservare, in premessa, che la riflessione cui ora ci invita la lettura del bel saggio di Lucarelli (come prima di lui e con esiti conoscitivi di pari rilievo e autorevolezza avevano già fatto altri studiosi)[2] non può essere sottovalutata anche in ragione del quadro analitico che se ne propone con la materiale riscrittura delle regole del costituzionalismo e la stessa riconsiderazione teorica della dottrina dello Stato, a fronte delle problematiche della internazionalizzazione dell’economia, delle problematiche della integrazione europea e delle ricadute nazionalistiche, di chiusura degli (e negli) stati, che fin qui ne sono derivati.

In un simile scenario, appare comunque necessario rilevare come l’evoluzione del costituzionalismo contemporaneo (e al suo interno le stesse trasformazioni registrate nel tempo dal costituzionalismo) non sembrano ancora aver accelerato il proprio percorso, come solo un decennio poteva osservarsi a fronte della crisi economica e delle inadeguatezze della risposta nazionale e di quella europea, nel suo complesso, a fronte delle politiche di austerity frequentate al tempo dalle istituzioni europee e che – non può negarsi – risultano ora profondamente ripensate nell’indirizzo eurounitario impresso alle politiche europee dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

In breve, per chi ora legge la stimolante analisi di Alberto Lucarelli (ma anche dei molti altri studiosi intervenuti in tema di populismo/i), l’impressione che se ne potrebbe ricavare è quella secondo cui se, da una parte, il populismo nella declinazione frequentata dalle forze politiche europee e da quelle nazionali affonda innegabilmente le proprie radici nella crisi della democrazia liberal-democratica, dall’altra, pare opportuno rilevare come, nella presente fase evolutiva, esso muova in modo intermittente e con esiti ancora incerti verso l’affermazione di populismi nazionali e di sovranismi, con particolare riguardo ai rapporti interni all’Unione europea e fra quest’ultima e singoli stati membri dell’UE. In ogni caso, non pare ancora che esso abbia già rotto gli argini costituiti dai limiti opposti dai costituzionalismi europei più maturi e dalle esigenze delle sovranità dei diversi stati riguardati (con le garanzie giurisdizionali e la protezione diffusa del sistema costituzionale dei diritti), definendo i contorni di esperienze di “democrazia illiberale”[3] (con un ossimoro ormai di uso corrente[4]) già sperimentati in alcuni paesi dell’est Europa. Paesi – questi ultimi (di recente, soprattutto Ungheria e Polonia, ma non sono certo isolati) – che, nella fase presente, stanno opponendo il proprio egoismo nazionale all’adozione da parte delle istituzioni europee di misure di contrasto della pandemia da Sars-Cov-2 in corso, allo scopo di contrastare le condizionalità stabilite dai trattati europei che li riguardano nell’accesso ai nuovi fondi del Recovery Fund e consistenti nel rispetto anche da parte di tali stati dei principi dello Stato di diritto codificati nei trattati e nelle prassi istituzionali europee[5].

Nel prendere atto delle sollecitazioni e dei veri e propri sovvertimenti posti dalle richiamate categorie populiste, una prima riflessione di sintesi che possiamo porre a base della lettura che faremo del libro di Lucarelli, così, invita, in premessa, ad uno sguardo lungo che sappia fare tesoro delle ragioni di fondo che sono state alla base del fallimento delle democrazie liberal-democratiche alle nostre spalle, dagli anni 20 alla fine degli anni 40 del secolo passato, e che si applichi ora ad approfondire (anche al fine di rimuoverne le manifestazioni più critiche) le modalità di operare tanto delle forme della rappresentanza politica quanto delle connesse ragioni dovute alle trasformazioni in corso da un secolo a questa parte ed ora approdate alla crisi almeno in apparenza irreversibile dei partiti politici come modalità di tipo associativa dei cittadini per concorrere alla determinazione della politica nazionale[6].

Le questioni sollevate nella ricostruzione di tale dinamica evolutiva certo non appaiono di agevole controllo, quando si rifletta agli indicatori assolutamente patologici che, a livello mondiale come a quello interno, descrivono una crescita incontrollata e sregolata delle disuguaglianze economiche e soprattutto della povertà. Tematiche molto complesse – queste ultime – che imporrebbero una riconsiderazione risolutiva da parte delle istituzioni internazionali competenti in materia volta a progettare (e praticare) innovativi modelli di governance globale, e accompagnandosi con idonee politiche di internazionalizzazione capaci di assicurare equità economica e solidarietà. La distribuzione a livello planetario del vaccino anti-covid, appena sarà pronto, ne potrà costituire un primo, necessario (ma non certo risolutivo) intervento in materia.

Nella fase presente, aggravata dalle conseguenze sociali ed economiche imposte dalla pandemia in atto, così, le crescenti disuguaglianze, l’aumento esponenziale dei tassi di incremento della povertà e lo stato viepiù deprimente della uguaglianza sostanziale all’interno dei confini nazionali (anche solo a misurarla con gli standard OCSE che, ad esempio, vedono l’Italia occupare il livello più basso di mobilità sociale), se considerati nel loro complesso definiscono i contorni problematici ma netti del fallimento del mercato e della crisi/regressione dello Stato sociale, secondo le formule accolte nel costituzionalismo repubblicano, in unum con la sottolineatura critica dello stesso fallimento della idea di una Europa sociale, se potesse affermarsi che fosse mai rientrato nelle corde dell’ordinamento sovranazionale europeo l’obiettivo istituzionale di conformarsi ai patrimoni costituzionali più avanzati in tema di principi e di diritti dello Stato sociale[7]. Tematiche tutte – queste ultime – da tenere strettamente in conto da parte del giurista che si voglia attento alle necessarie esigenze di effettività delle previsioni costituzionali in tema di principi e di diritti fondamentali. Senza un’accorta valutazione e corrispondente presa in carico delle problematiche poste dallo statuto dei diritti sociali e dalla esigibilità di risorse finanziarie e di idonee attività amministrative con riguardo al loro effettivo godimento, non può sorprendere, come Lucarelli argomenta in modo convincente, se il rapporto fra gli individui e le istituzioni della Repubblica, a livello territoriale come a livello statale, ne risulti significativamente compromesso, conseguendone in modo inevitabile effetti di delegittimazione da parte dei cittadini relativamente alla adeguatezza delle politiche pubbliche e al ruolo sussidiario complessivo dello Stato[8]. Una compromissione – quella appena richiamata – che, come si è già osservato, coinvolge nell’astio (spesso rancoroso) osservabile negli strati più deboli della società (ma non solo in quelli) i rappresentanti politici, quelli sindacali e le stesse istituzioni culturali (scuola e Università), unitamente alle altre più organizzate formazioni di intermediazione sociale, e trovando un approdo appagante nelle sole (solipsistiche nelle forme del concreto godimento) forme digitali della connessione alla rete via web, che assicurano al navigatore dell’etere la «sensazione inebriante di libertà e fa vagheggiare come effettivamente possibile la realizzazione di una sorta di referendum permanente tale da consentire al popolo di far valere la sua superiore saggezza»[9], bypassando in tal modo e in forma radicale «ruoli magistrali e di supremazia gerarchica che caratterizzano gli apparati istituzionali»[10]. Pervenuta a questo livello, come si può osservare, l’analisi smette necessariamente di essere tale per proporsi molto, più realisticamente, come fotografia della realtà.

Rimane da chiedersi se una simile disamina possa ancora definire – e a quali condizioni – uno spazio possibile per l’esercizio della sovranità dello Stato e soprattutto per i limiti positivizzati nel costituzionalismo contemporaneo a garanzia del sistema delle libertà e se, all’interno di tale spazio, sussistano ancora formule idonee ad innervare e riqualificare la rappresentanza politica, per riportarla nell’alveo per essa prefigurato dalla Costituzione, con innesti di partecipazione popolare che possano assicurare una declinazione «democratica» del populismo e, in tale ultima direzione, se sia ancora possibile prefigurare una vera e propria «rifondazione del modello di democrazia politica disegnato dall’art. 49 della nostra Costituzione» o se invece quel modello vada archiviato come un relitto del passato ormai inservibile[11].

Prima di accostarci alle argomentazioni offerte in tema da Alberto Lucarelli, pare opportuno richiamare quelle convincenti osservazioni di Luigi Ferrajoli quando rileva come il vero bersaglio della critica populista risieda nella sostituzione della mediazione della rappresentanza ad opera dei partiti con quello che Egli chiama il «direttismo democratico»[12]; una sostituzione – quest’ultima – che, a buona ragione, si fa ricadere nella risalente, convincente, critica che già Aristotele aveva portato, più di due millenni fa, alle condizioni di deriva demagogica della democrazia[13]. La demagogia – per come osserva Ferrajoli richiamando Aristotele – «è (appunto) quella forma degenerata di democrazia nella quale “sovrana è la massa, non la legge” e “i molti”, diversamente che nella democrazia, “sono sovrani non come singoli, ma nella loro totalità. È allora, dice Aristotele, che “appaiono i demagoghi” e “sono tenuti in onore gli adulatori”, esattamente come nella “tirannide”: “il demagogo e gli adulatori” del tiranno, infatti, “sono gli stessi o qualcosa di analogo”, dato che il demagogo sta al popolo come gli adulatori stanno ai tiranni. Con la differenza che nella tirannide gli adulatori restano al loro posto, mentre nella demagogia, poiché il popolo non esiste come macrosoggetto, il demagogo si converte in tiranno»[14].

Un’analisi teorica, quella appena richiamata citando in modo pedissequo Luigi Ferrajoli, che, se può indubbiamente trovare indiscussi riscontri nelle principali forze politiche in campo (sia pure in presenza di una loro significativa evoluzione nel corso del tempo), portano comunque a sottolineare una convincente continuità con le critiche sollevate nei confronti della demagogia da parte di Aristotele, per come individuate soprattutto nel ruolo fondamentale svolto dal capo politico e dal suo rapporto di vera e propria immedesimazione organica con il «suo» popolo inteso come un tutto indifferenziato. Di qui la fondatezza del richiamo conclusivo di Ferrajoli con riguardo ai moderni populismi che hanno il loro modello idealtipico in Mussolini e in Hitler e che ritrovano un loro punto di comunanza nell’avversione nei confronti della democrazia parlamentare, riconoscendosi, in senso opposto, in prospettive teoriche e politiche di antipluralismo ma anche di democrazia diretta, sregolate quanto alle relative forme di esercizio, e di rigetto (a livello teorico e nella prassi politica) della stessa funzione di mediazione e di rappresentanza politica richiesta ai partiti politici, nella insofferenza per i limiti e i vincoli interni ed esterni alla sovranità nazionale e per concludere, richiamando ancora Luigi Ferrajoli, «la logica dell’amico/nemico e la squalificazione come indebito “inciucio” del confronto e del compromesso parlamentare»[15].

Salvo a volere trarre tutte le conseguenze teoriche da una simile, lucida, ricostruzione critica, tale analisi ci pone di fronte a pesanti interrogativi che richiedono comunque una risposta; si tratta appunto di quegli interrogativi che si chiedono se «non siamo piuttosto in presenza – in Italia come in molte altre democrazie, parimenti caratterizzate dalla diffusione dei populismi e dalla personalizzazione dei sistemi politici – di una tendenziale trasformazione della democrazia in “autocrazia elettiva”[16], ravvisandovi una sostanziale “eversione del regime democratico”»[17].

 

  1. A fine lettura di Populismi e crisi della rappresentanza. Tendenze populistiche ed (esigenze della) democrazia costituzionale

 

Allo scopo di rinsaldare la forza evocativa e argomentativa delle metafore cui lo stesso Lucarelli non manca di fare ricorso nel suo lavoro, Sandro Staiano, in una sua recente recensione per la Repubblica intitolata «Il viaggio di Lucarelli nei populismi», richiama in una ottica di confronto comparativo un romanzo di recente pubblicazione, suggerendone una lettura contestuale al libro di Lucarelli[18]; in tale libro, il “sovranismo populista liberista”, nella versione britannica post Brexit, viene evocato con la efficace e non certo gradevole caricatura dello «scaraffaggismo», unitamente al rinvio alla nuova teoria politica ed economica dell’inversionismo, che nella graffiante ed evocativa prosa di McEwan trova un suo spazio di rilievo a supporto argomentativo della richiamata metafora relativa al poco amato blattoideo citato. Ancorché l’approccio “realista” al diritto costituzionale, da Leopoldo Elia in poi (per limitarsi alla dottrina costituzionale che altrove abbiamo definito «più moderna»[19]) venga ormai diffusamente utilizzato nella ricerca costituzionale, in sintonia con la lettura fattane dall’estensore della richiamata recensione, non appaia superfluo ricordare come l’Autore di questo libro si avvalga di una metodologia di analisi cui l’Autore affida l’obiettivo di consentirgli di poter sfuggire al rischio di incorrere nel possibile «vizio metodologico di una sorta di populismo degli antipopulisti». In tale prospettiva, la metodologia prescelta fa proprio in modo pieno «il terreno della falsificazione come una necessità indotta dalle tumultuose trasformazioni in atto»; in altri termini, con la sua analisi, attenta ad operare distinzioni e articolazioni nell’ambito del variegato e complesso fenomeno populistico oggetto della sua disamina, l’Autore rifugge da ogni possibile (forse anche comprensibile) rischio di semplificazione estrema rispetto alla vasta letteratura sul populismo e alle differenziate metodologie utilizzate nel relativo approccio. Il dichiarato (e frequentato) ancoraggio metodologico alle nozioni giuspubblicistiche (p. 16), in una lettura che non teme contaminazioni improprie con la sociologia e la politologia, gli assicurano di potersi accostare al/i populismo/i, oggetto della sua analisi, senza farsene coinvolgere in modo improprio, al contrario, bene evidenziando come il metodo che si richiede al giuspubblicista deve risultare attento (anche) ad assicurare l’effettività degli istituti politico-costituzionali analizzati (la rappresentanza politica nel nostro caso), in una lettura che in tale ottica si propone convincentemente in termini di living Constitution[20].

Seguendo un simile approccio metodologico, l’Autore si pone nelle condizioni di operare, nell’ambito del variegato fenomeno populista oggetto della sua ricerca, una chiara distinzione e articolazione del fenomeno oggetto della sua analisi. In esso, l’analisi svolta invita a cogliere, e a tenere ben distinti fra loro in quanto infungibili, un primo profilo inteso come una necessaria disamina interna alla democrazia rappresentativa, la cui conoscenza non potrebbe che vivificare la piena funzionalità costituzionale dell’istituto della rappresentanza (p. 49), ed un secondo, più ampio e diverso profilo nel quale a rilevare è una prospettiva di osservazione economica ma anche ideologica. Tale prospettiva analitica deve risultare idonea ad assicurare la necessaria attenzione al contesto socio-politico nel quale operano gli istituti costituzionali, i quali rinviano ad una loro declinazione liberista e sovranista, che non può che trovare il suo brodo di coltura fondamentale nei processi di globalizzazione dell’economia e dei relativi impatti regressivi sulla sovranità degli stati nazionali e al loro interno sulle forme di torsione dei costituzionalismi nazionali (sia con riguardo alla organizzazione dei poteri costituzionali sia alla effettività dei diritti fondamentali) (p. 98 ss.).

Il lavoro che ne risulta da una simile indagine non può non costituire oggetto di una riflessione necessaria nel quadro di un sistema culturale e politico che da tempo si sta interrogando (ma senza trovare fin qui risposte appaganti) sulle prospettive attuali e future della crisi della rappresentanza e della stessa democrazia. A noi pare che il merito più visibile di questo lavoro (che ne fa per tale ragione una lettura assolutamente originale rispetto ad una tematica risalente (fino) alle origini moderne della democrazia liberal-democratica) sia quello di aver messo in questione un certo modo (perfino acritico) di affrontare il tema del populismo, leggendone i soli profili problematici e/o negativi. L’analisi proposta da Lucarelli invita a ripensare questo approccio pigro e limitato ad un fenomeno che si fa tutt’uno con la declinazione contemporanea della democrazia e la sua stessa accountability rappresentativa e nella mediazione fra interessi eterogenei e anche contrapposti e conflittuali. Le premesse di un simile lavoro non possono che trovarci pienamente consenzienti con l’analisi svolta allorché l’A. si accinge a riscrivere l’ordinamento del populismo democratico (naturalmente l’enfasi è nostra) individuandone la fonte di legittimazione nel suo pro-porsi come superamento (atteso e praticato, quindi necessario) del “populismo neo-liberista”.

La critica del diritto e delle istituzioni della democrazia europea colta come dequotazione della democrazia ut sic in una prospettiva tecnocratica ne costituisce una parte non trascurabile. Tale indirizzo di analisi emerge chiaramente nel libro. Emerge parimenti bene nelle relative argomentazioni di sostegno come il “populismo democratico”, che l’Autore invita ad affrontare senza atteggiamenti vacuamente prudenziali e/o critici, possa al contrario costituire una prospettiva assolutamente da valorizzare nell’ottica della «democrazia del pubblico»[21], ancorché in una lettura di tipo antitetico alla formulazione che ne aveva proposto Manin, inclusiva della valorizzazione delle forme partecipative dal basso e della valorizzazione delle stesse ragioni del dissenso e del conflitto. A chi legge, quest’ultimo appare esattamente il tema centrale (la problematica fondamentale) della democrazia odierna e dei suoi limiti agli occhi dei cittadini, ed è un merito di questo libro averlo voluto focalizzare e discutere. Si tratta di capire se lo si vuole comprendere o se al contrario si vogliono chiudere gli occhi girando la testa da altre parti, come si fa da parte dei moderni partiti politici di massa.

Lucarelli sottolinea reiteratamente tale indirizzo analitico nel suo libro, con puntuali approfondimenti (in particolare nelle pagine 85, 86, 113, 118, 121, 128, 133, 136), osservando criticamente come l’analisi proposta dal Manin assumesse la “democrazia del pubblico” «come dimensione patologica della democrazia rappresentativa, come una forma che mette in diretto contatto il leader con l’opinione pubblica, gli attori politici con il loro pubblico. Una relazione che avviene soprattutto attraverso i media». In senso antitetico, come si è già ricordato, la nozione viene utilizzata da Lucarelli a supporto della sua proposta analitica del populismo come possibile risposta alla crisi della democrazia rappresentativa accolta in Costituzione. Appaiono di sicura utilità argomentativa, in tale ottica, richiamare almeno alcuni dei più significativi passaggi argomentativi di tale indirizzo, che ci pare assolutamente centrale e qualificativo del pensiero dell’Autore in questo libro: «In linea di principio – sottolinea in tale ottica Alberto Lucarelli –, la democrazia del pubblico non si oppone alla rappresentanza, ma piuttosto alle sue patologie di funzionamento ed al concetto che la sovranità popolare non possa esaurirsi nei meccanismi e nella procedura della delega» (p. 118), osservando ancora – nello sviluppo argomentativo che ne propone – che la democrazia del pubblico, il “populismo democratico” (per come egli la ridefinisce), «in quanto tale, almeno nei suoi aspetti fisiologici, non è radicale e tende a trovare una sintesi tra le differenti dimensioni della democrazia, esprimendo esigenze di politica attiva, diffusa e partecipata. Quindi, in riferimento al nostro ordinamento giuridico, articola la sua azione all’interno e sulla base dei principi costituzionali. Un fenomeno che ha quale obbiettivo l’effettiva attuazione della Costituzione» (p. 121). Così richiamata la pluridimensionalità delle forme di democrazia accolta nei principi fondamentali e nelle articolate disposizioni della Carta destinate al pluralismo partecipativo (art. 1, 18, 21, 48, 49 Cost., fra le altre), l’A. assume di poter motivatamente argomentare la tesi centrale nel suo libro – la validità cioè dei populismi nei processi democratici – proponendoli in tal modo come strumenti democratici di sicura utilità nell’ottica e allo scopo di conseguire una «rinnovata rappresentanza democratica» (p. 128). In una simile ricostruzione, appare pienamente confermato l’orientamento fondamentale della sua tesi, secondo cui «[l]’obiettivo della democrazia del pubblico è far sì che nuovi antagonismi si trasformino in agonismi, in proposte, iniziative, referendum, petizioni» (p. 136). Una simile ricostruzione, così, lo portano a poter concludere in modo motivato che «la democrazia del pubblico o populismo democratico non si contrappone alla rappresentanza, ma piuttosto alla degenerazione della rappresentanza, all’autorità delle élites ed alla sua influenza a gestire i media. L’azione della cittadinanza attiva, in questo caso, complessa, anti-egemonica, anti-unanimista, fondata sul conflitto e sul dissenso, è svolta a tutela dei diritti fondamentali, in una prospettiva universale di eguaglianza e solidarietà. … In questa logica, la democrazia del pubblico ambisce, pur nella sua complessità, alla sintesi di più dimensioni della democrazia: rappresentativa, diretta, partecipativa, locale, di genere, del conflitto, della disobbedienza civile, tutte ben radicate nella nostra Costituzione. Quindi, in linea di principio, il populismo del pubblico si declina attraverso maggiori canali di democrazia e resiste a forme monopolistiche della rappresentanza sulla sovranità popolare. Si fa interprete di una visione più ampia della categoria giuridica della sovranità popolare. Tale modello non è dunque espressione di post-democrazia, quanto piuttosto di desiderio di un’altra forma della democrazia, nella quale il popolo sia elemento dello Stato, non statico, ma dinamico, in grado di seguire ed essere protagonista dei processi politici dall’iniziativa, fino all’attuazione ed al controllo dell’indirizzo politico … Tra l’altro, in tal senso, va ricordato che la sovranità, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, è, e rimane, del popolo, e che lo Stato è dunque soltanto una tra le “forme” (rectius tra i mezzi) in cui essa viene costituzionalmente esercitata», richiamando a supporto di tale sua lettura in particolare l’analisi che ne era stata già proposta da Vezio Crisafulli[22].

In tale scenario, appare particolarmente ricca di potenzialità ermeneutiche della crisi in atto della rappresentanza (almeno a partire dal 1993, con i referendum sulle leggi elettorali proporzionali e sull’abrogazione della previsione delle preferenze personali da parte dell’elettore) il ricorso che viene operato nei confronti della categoria della «visibilità» contrapposta a quella della rappresentatività per sottolineare come domande e bisogni sociali vengano colti dai relativi titolari – i cittadini – come non idonei ad assicurare una loro visibilità agli occhi dei rappresentanti. In questo senso, si potrebbe forse ancora assumere come convincente quell’indirizzo di analisi che parla di «rappresentazione senza rappresentanza» per inquadrare le problematiche rappresentative di talune forze politiche in campo, ancorché maggioritarie nel consenso elettorale alle ultime elezioni. In questo la democrazia vede problematizzata la sua stessa ragion d’essere. Dove e come potrebbe infatti cogliersi, in un simile contesto, il “governo del popolo da parte del popolo” che dovrebbe etimologicamente corrispondere appunto alla traduzione dal greco della parola “democrazia”? Di qui la ragionevolezza del percorso critico seguito da Lucarelli quando argomenta la tesi secondo cui il “populismo democratico” costituisce una leva importante nella direzione della rivitalizzazione della rappresentanza politica e in ultima istanza della democrazia parlamentare. Dunque, quello proposto dal libro è un chiaro invito a cambiare gli occhiali nel guardare la realtà sociale oggetto della regolazione pubblica. In questo sguardo, il populismo non deve essere guardato con preconcetto disfavore; al contrario, ne vanno colte le valide iniezioni partecipative, plurali, conflittuali, che costituiscono vero proprio sangue vitale per la esangue democrazia del Paese e dei Paesi europei.

Un solo dubbio rimarrebbe a conclusione della lettura del libro, salvo a coglierne ancora possibili, ulteriori, risposte in successive riletture del volume che sicuramente potrebbero aprire nuove prospettive di conoscenza che non fossero state già auto-evidenti alla prima lettura. Ancorché non voluminoso nella sua dimensione, come di norma lo sono i libri scritti dai giuristi, pertanto, questo libro va probabilmente offerto a letture e a riflessioni di approfondimento reiterati nel tempo e affrontati con angolazioni metodologiche differenziate. La sua originalità, come già si diceva, risiede nel cambio di prospettiva analitica che esso pone rispetto ad un fenomeno sociale e politico – quello del populismo/dei populismi – fin qui osservato e studiato in modo quasi esclusivamente critico e/o polemico. Il dubbio è che il “populismo democratico”, come l’Autore lo chiama (ma che dire poi del “populismo” senza altre aggettivazioni?), almeno fin qui, sembra aver comportato la delegittimazione dell’intero strumentario della democrazia rappresentativa e parlamentare ma il rendimento politico di una simile operazione destruens non pare essere andato nella sola direzione, come si argomenta (e naturalmente si auspica) nel libro, della rivitalizzazione della rappresentanza e della democrazia. Chi ora legge con pieno godimento teorico questo libro continua a guardare in tale fenomeno (in tali fenomeni) una sua/loro non astratta base di partenza per l’affermazione (ma anche per il sostegno) di formule illiberali e demagogiche della democrazia e con esse di ancoraggi sovranistici e nazionalistici delle peggiori destre europee (che sembrano avere fin qui già messo a punto categorie analitiche e strumenti di lotta politici e istituzionali e a cui non manca certo consenso sia nei relativi Paesi sia nella stessa prassi politica italiana). Se questo fosse uno scenario destinato a consolidarsi, il populismo/i populismi avrebbe/ro messo a punto una brillante azione di harakiri democratico contro il popolo, con il relativo (preteso) “autogoverno”, consegnando la relativa prassi democratica a idee sovranistiche e nazionalistiche, con il recupero di tutto l’armamentario storico che è ben noto. In sintesi, quindi, appare pienamente convincente la tesi di Lucarelli quando sottolinea criticamente la tendenziale pigrizia teorica di chi guarda con disdegno preconcetto ai “populismi democratici” (come vengono ora inquadrati), ma rimane comunque legittimo l’interrogativo se non si rischia in tal modo di portare acqua a mulini che invero non dovrebbero più macinare (atteso che quando lo hanno fatto hanno insanguinato le contrade di tutta Europa). Non servirebbe una disamina di come lo stesso “populismo democratico” dovrebbe operare in modo construens nella riqualificazione della rappresentanza (sia pure nelle nuove forme che si vogliono richiedere/suggerire)? Ma qui chi scrive rischia evidentemente di far emergere, se non anche le proprie ansie teoriche, la preoccupazione pratica quando guarda ai populismi, che nulla toglie alla ricchezza argomentativa e di testimonianza teorica e pratica che ci ha consegnato questo magnifico libro di Alberto Lucarelli ora oggetto di riflessione. Richiamo a sostegno di quell’ansia alla quale poc’anzi si faceva riferimento come, in occasione del recente referendum costituzionale, non siano mancate argomentazioni e proposte di legge depositate in Parlamento a sostegno della iniziativa legislativa popolare e del referendum propositivo che – se indiscutibilmente positive nel loro apporto partecipativo, secondo la stessa ratio del costituente repubblicano – nella prospettazione di una loro revisione costituzionale – guardavano in modo non recondito alla messa fra parentesi della democrazia rappresentativa/parlamentare, proponendosi in espressa competizione/alternativa con la decisione parlamentare. Fino a convincermi della erroneità di una simile prospettiva di revisione istituzionale/costituzionale, continuo ad assumere che una delle questioni maggiormente problematiche nell’ottica della valutazione del populismo osservabile nelle sue recenti manifestazioni politico-partitiche nel Paese sia costituito appunto da proposte di stravolgimento della democrazia costituzionale senza un preciso percorso di revisione costituzionale rispettoso delle previsioni della Carta in tema di revisione costituzionale e dello stesso modello di democrazia sancito nell’art. 1.1 Cost. Parlare di surroghe puntuali della democrazia diretta alle previsioni costituzionali in tema di democrazia rappresentativa e parlamentare (come è stato fatto con riguardo al referendum propositivo e alla iniziativa legislativa popolare) – qualora fossero andate a buon fine o qualora si ritornasse ancora a parlarne sulla base degli stessi progetti di legge depositati agli atti delle Camere – risultano/risulterebbero un evidente vulnus costituzionale che consentono/consentirebbero di sottolineare i rischi in corso, ancorché talora ancora «sotto traccia» di un percorso verso declinazioni (formalmente e sostanzialmente) “illiberali” della stessa democrazia costituzionale anche nel nostro Paese, qualora e se l’argomentazione populistica presente nel dibattito pubblico del Paese smettesse di riconoscere e di conformarsi alle precise regole e ai metodi della democrazia costituzionale.

** Intervento alla Tavola rotonda organizzata dal Dipartimento di Giurisprudenza – Università Federico II di Napoli, 27 novembre 2020, in occasione della Presentazione del libro di Alberto Lucarelli, Populismi e rappresentanza democratica (Editoriale Scientifica, Napoli, 2020).

[1] A. Lucarelli, Populismi e rappresentanza democratica, Editoriale scientifica, Napoli, 2020.

[2] E multis, Y. Mény, Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico, Il Mulino, Bologna, 2019, A. Spadaro, Costituzionalismo versus populismo. Sulla c.d. deriva populistico-plebiscitaria delle democrazie costituzionali contemporanee, in G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi, Scritti in onore di Lorenza Carlassare, Napoli, 2009; G.U. Rescigno, Populismo (presunto, asserito, proclamato) e diritto costituzionale in Italia, in Ragion Pratica, 2019, n. 52; G. Moschella, Crisi della rappresentanza politica e deriva populista, in Consulta online, 2019, II; Id., L’incerta prospettiva della democrazia rappresentativa tra crisi della sovranità dello Stato e tendenze populistiche, in federalismi.it (19 giugno 2019); A. Morelli, La riscoperta della sovranità nella crisi della globalizzazione, in Consulta online, 2018, I; G. Allegri, A. Sterpa, N. Viceconte, Questioni costituzionali al tempo del populismo e del sovranismo, Napoli, 2019; Percorsi costituzionali (“Rappresentanza senza populismi”), 1/2017; Y. Mény, Y. Surel, Populismo e democrazia, Bologna, 2004; G. Martinico, Il diritto costituzionale come speranza, Torino, 2019; Id., Fra mimetismo e parassitismo. Brevi considerazioni a proposito del complesso rapporto fra populismo e costituzionalismo, in Questione giustizia, n. 1/2019; L. Morlino e F. Raniolo, Neopopulismo y calidad de la democracia, in Estancias, n. 1/2019; F. Bassanini, La democrazia di fronte alla sfida della disintermediazione: il ruolo delle comunità intermedie e delle autonomie territoriali, in Astrid Rassegna, n. 6/2019; Y. Mounk, Popolo vs democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale, Milano, 2018; N. Urbinati, Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia, Bologna, 2019; I. Diamanti, M. Lazar, Popolocrazia. Le metamorfosi delle nostre democrazie, Bari-Roma, 2018; M. Revelli, La politica senza politica. Perché la crisi ha fatto entrare il populismo nelle nostre vite, Torino, 2019; M. Tarchi, Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo, Bologna, 2018; G. Orsina, Democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica, Venezia, 2018; A. Mastropaolo, La democrazia è una causa persa? Paradossi di un’invenzione imperfetta, Torino, 2016; S. Levitsky, D. Ziblatt, Come muoiono le democrazie, Bari-Roma, 2018; P. Rosanvallon, Le siècle du populisme, Paris, 2020; M. Lalatta Costerbosa, La democrazia assediata. Saggio sui principi e sulla loro violazione, Roma, 2014, S. Gambino, Popolo e democrazia (sotto scacco) fra partiti politici in crisi e populismi, in DPE Rassegna online, 1/2020; Id., Populismo vs dequotazione della democrazia costituzionale. Trasformazioni nel costituzionalismo italiano: dalla ‘democrazia progressiva’ alla ‘democrazia assediata”, in Critica del diritto, 1/2020.

[3] AA.VV., Le democrazie illiberali in prospettiva comparata: verso una nuova forma di Stato? (Atti Convegno a cura di G. D’Ignazio, A.M. Russo), in DPCE on line Sezione monografica III, 3/2020.

[4] A. Spadaro, Dalla “democrazia costituzionale” alla “democrazia illiberale” (populismo sovranista), fino alla…. “democratura”, in AA.VV., Le democrazie illiberali, cit., 3875 ss.

[5] A. de Crescenzo, Il Meccanismo Europeo di Stabilità ‘alla prova’ del futuro dell’Unione europea. Parlamenti (ancora) assenti nelle condizionalità macroeconomiche?, in La cittadinanza europea, 1/2020.

[6] Sul punto la bibliografia da citare sarebbe molto ampia; ci limitiamo ora a rinviare ad una recensione molto puntuale e approfondita svolta da M. Libertini, Populismo e sovranismo in un libro recente, in Osservatorio AIC, 3/2019. La recensione riguardava il libro collettivo (a cura di G. Allegri, A. Sterpa, N. Viceconte), Questioni costituzionali al tempo del populismo e del sovranismo, cit.. In tema cfr. anche i due recenti volumi di F. Raniolo sui partiti politici: Le trasformazioni dei partiti politici, Catanzaro, Soveria Mannelli, 2005 e I partiti politici, Laterza, Roma-Bari, 2013, nonché il nostro Revisione costituzionale, riforma elettorale, (crisi dei) partiti politici: dal Parteienstaat al governo del Premier?, in Astrid Rassegna, 2/2016.

[7] In tema, cfr. anche il nostro I diritti fondamentali fra ‘Carta dei diritti UE’ e ‘costituzionalismo multilivello’, in La cittadinanza europea, 1/2020.

[8] M. Libertini, Populismo e sovranismo, cit., 2.

[9] Ibidem, 2; A. D’Atena, Democrazia illiberale e democrazia diretta nell’era digitale, in Osservatorio Aic, 2/2019.

[10] M. Libertini, Populismo e sovranismo, cit., 2.

[11] L. Ferrajoli, Democrazia e populismo, in Rivista Aic, 3/2018.

[12] Ibidem, 2.

[13] V. Pazé, Il populismo come antitesi della democrazia, in Teoria politica, 2017, 111 ss.

[14] Aristotele, Politica. Costituzione degli ateniesi, Laterza, Bari-Roma, 1972, 200.

[15] L. Ferrajoli, Democrazia e populismo, cit., 3.

[16] M. Bovero, Autocrazia elettiva, in Costituzionalismo.it, 2/2015.

[17] M. Manetti, Democrazia, partecipazione popolare e populismo, in AA.VV. (Atti Convegno Aic, Modena 10-11 novembre 2017), Democrazia oggi, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018.

[18] I. McEwan, Lo scarafaggio, Einaudi, Torino, 2020. «Tale lettura [come chiosa in modo efficace Sandro Staiano] sarebbe una riprova della forza narrativa della buona scienza, e della capacità dimostrativa della buona letteratura».

[19] S. Gambino, Note su partiti politici e forme di governo: il contributo di Leopoldo Elia al rinnovamento del metodo giuridico nella scienza costituzionale, in Studi in onore di L. Elia, Giuffré, Milano, t. I, 1999.

[20] In tema sia consentito rinviare anche al nostro Forma di governo, partiti politici e sistemi elettorali. La living Constitution italiana nell’ottica comparatistica, in AA.VV., Costituzione – Economia – Globalizzazione. Liber amicorum in onore di Carlo Amirante, Napoli, ESI, 2013.

[21] B. Manin, Principi del governo rappresentativo, Il Mulino, Bologna, 2017.

[22] Di cui cfr. almeno Stato popolo Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, Giuffrè, 1985, 143.