di Vincenzo Lamonaca*

 

Sommario: 1. Il “virus” delle rivolte carcerarie ai tempi del COVID-19. – 2. Ordre dans la rue vs ordre en prison, tra cortocircuito giuridico e coordinamento operativo. – 3. L’ordre en prison: Direttore vs Comandante del Reparto. – 4. La dissolvenza dell’ordre en prison nell’ordre dans la rue: le competenze del Comandante del reparto di Polizia penitenziaria. – 5. Osservazioni conclusive.

 

  1. Il “virus” delle rivolte carcerarie ai tempi del COVID-19

 

La sciagurata decisione di adottare in una giornata festiva (domenica 8 marzo 2020) la soluzione draconiana del lockdown, appresa anche dall’utenza detenuta grazie al messaggio a reti unificate del Presidente del Consiglio dei Ministri nella stessa sera, potrebbe essere ritenuta concausa degli eventi nefasti avvenuti in carcere a partire dal 9 marzo 2020 in poi[1], essendo stato impedito all’amministrazione penitenziaria di poter adottare una strategia operativa[2] e comunicativa preventiva[3] in grado di ostacolare eventi critici senza precedenti[4], come rivolte[5], maxi-evasioni[6], aggressioni e addirittura (ben 13) morti[7], con pesantissime ricadute sulla funzionalità degli istituti e sulle condizioni di sicurezza[8], non solo interna[9], ma anche esterna[10], oltre che sull’incolumità del personale di Polizia penitenziaria[11] e sanitario operante in carcere[12], esposto a pericolo grave e immediato[13] (si pensi ai sequestri di persona avvenuti nella rivolta di Melfi), con eventi cui raramente si è assistito nella storia penitenziaria italiana[14].

Questa riflessione, peraltro, trova ulteriore addentellato nel campanello d’allarme della rivolta del carcere di Salerno del 7 marzo 2020[15], che avrebbe dovuto indurre il governo ad adottare strategie diverse, così da ridurre la tensione intramuraria, sovente ridimensionata grazie alla «mediazione locale di alcuni direttori, comandanti e provveditori regionali dell’amministrazione penitenziaria; così come quella di alcuni magistrati e garanti»[16].

La progressiva frattura della impermeabilità sanitaria, creata a presidio degli istituti di pena, ha inevitabilmente determinato dopo l’estate 2020 l’ingresso del COVID-19 nelle carceri, rinfocolando tensioni intramurarie mai sopite, a volte sfociate in semplici proteste, in altri casi tramutatesi in vere e proprie rivolte[17], non dissimili da quelle avvenute durante i primi giorni di lockdown.

La gravità degli episodi in parola è stata tale da richiedere il massiccio intervento non solo di tutto il personale di polizia penitenziaria disponibile, ma anche delle altre forze di polizia, dei Vigili del fuoco e della Polizia locale, attingendo ad una disposizione mai utilizzata fino a quel momento dall’amministrazione penitenziaria e cioè l’art. 93, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, coinvolgendo, quindi, altri soggetti istituzionali nella gestione degli eventi, con intuibili necessità di coordinamento e definizione delle rispettive responsabilità, fino a poco tempo fa non meglio identificate.

 

  1. Ordre dans la rue vs ordre en prison, tra cortocircuito giuridico e coordinamento operativo

 

A ben guardare, eventi critici simili non si verificavano dalla metà degli anni ’80, cogliendo di sorpresa non solo l’amministrazione penitenziaria, ma anche il sistema di pubblica sicurezza, i cui tempi e modi di reazione hanno patito l’assenza di una codificazione chiara delle procedure, dei criteri di pianificazione e coordinamento delle forze a disposizione, nonché dell’individuazione, a seconda della gravità degli scenari, dei soggetti aventi competenza nella gestione degli eventi in parola, specie sotto il profilo tecnico-operativo, anche ai fini della riconducibilità ad organi specifici delle correlate responsabilità di ogni ordine e grado.

Di conseguenza, non si può che salutare con favore la circolare del Capo della Polizia – Direttore Generale di Pubblica Sicurezza (da ora DGPS) del 29 gennaio 2021, cui sono allegate specifiche linee guida per la pianificazione a livello provinciale degli interventi da porre in essere in caso di manifestazioni di protesta e disordini negli istituti penitenziari.

Invero, le Linee guida vanno correttamente interpretate e ciò può avvenire inforcando non solo le lenti dell’ordinamento di pubblica sicurezza, di cui alla l. 1° aprile 1981, n. 121, ma anche quelle dell’O.P, al fine di coordinare in modo esatto i due ambiti giuridici.

La premessa necessaria è la valenza assorbente della materia dell’ordine e della sicurezza pubblica e la capacità attrattiva che le attribuzioni poste in capo alle autorità di pubblica sicurezza sprigionano rispetto a qualunque soggetto di diritto collocato sul territorio di competenza, quando vengono in emergenza questioni di ordine pubblico[18], evidenziando come nel caso delle strutture penitenziarie non si ponga il problema della sussistenza di un eventuale ius excludendi alios, prerogativa tipica dei luoghi privati[19], in quanto «La cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico, non essendo nel “possesso” dei detenuti»[20], né tanto meno quello relativo ad una sorta di presunzione di “extraterritorialità” del carcere, non potendolo assolutamente elevare ad “enclave giuridica autonoma” rispetto all’ordinamento di pubblica sicurezza, secondo una interpretazione affatto ortodossa della regola n. 71 delle Regole Penitenziarie Europee, a sua volta non rispettosa della qualificazione giuridica di soft law di quest’ultima fonte di diritto internazionale[21].

In sostanza, se è vero che il concetto di ordine pubblico è posto alla base dell’idea stessa di Stato[22], ne discende che il mantenimento della sicurezza e dell’ordine all’interno delle strutture penitenziarie, disciplinato a sua volta dall’ordinamento penitenziario (da ora O.P. per brevità), si pone in rapporto di genus a species, quasi come se l’ordre dans la rue[23] fagocitasse, in via del tutto eccezionale, l’ordre en prison, secondo un cliché espansivo e di onnipresenza che sta caratterizzando l’ordine pubblico nell’attuale momento storico[24].

 

  1. L’ordre en prison: Direttore vs Comandante del Reparto

 

Con riferimento all’ordre en prison, giova evidenziare che le fonti giuridiche affidano in generale al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (da ora DAP per brevità) l’attuazione della politica dell’ordine e della sicurezza degli istituti[25], secondo l’indirizzo politico-amministrativo espresso dal Governo, in base alle risorse assegnate ed agli obiettivi fissati.

Il DAP a sua volta declina le scelte del livello politico in linee programmatiche annuali[26], indirizzate ai livelli periferici dell’Amministrazione penitenziaria, affinché si provveda alla loro attuazione amministrativa.

Con riferimento specifico agli istituti penitenziari, poi, compete al Direttore dell’istituto penitenziario, in quanto responsabile generale del mantenimento della sicurezza e del rispetto delle regole intramurarie, la realizzazione degli obiettivi fissati dal DAP, avvalendosi del personale penitenziario secondo le rispettive competenze[27], in aderenza alle prescrizioni dell’O.P.

Inoltre, il d.lg. 15 febbraio 2006, n. 63, attuativo dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria, ex lege 27 luglio 2005, n. 154[28], individua nel Direttore di istituto penitenziario l’organo di riferimento per gli uffici territoriali del Governo (prefetture) e per le forze dell’ordine quanto agli aspetti e profili relativi alla sicurezza[29]. Se ciò non bastasse, il Direttore esercita le prerogative finalizzate a garantire il regolare funzionamento delle strutture penitenziarie al fine di salvaguardare costantemente, negli istituti penitenziari, le condizioni di ordine e disciplina, nel pieno rispetto della dignità della persona, e per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza della collettività[30].

Il Direttore di un istituto penitenziario è forse il dirigente pubblico caratterizzato dalle funzioni più eterogenee rinvenibili nella pubblica amministrazione[31], con un carico di responsabilità e di compiti soverchianti[32].

L’assetto “direttore-centrico” impresso dalla normativa di riferimento alle politiche di mantenimento dell’ordine e della sicurezza intramuraria (ma a ben guardare all’organizzazione dell’intera struttura) è confermato da numerose previsioni che sembrano riconoscere al comandante del reparto una competenza tecnica in materia di sicurezza ed una correlata responsabilità di gestione tecnico-operativa, ma sempre collocandolo un gradino più in basso, per effetto del rapporto di subordinazione gerarchica rispetto al Direttore[33], sebbene la diversa collocazione ordinamentale delle due figure[34] possa dare adito a patologici momenti conflittuali, specie in presenza di provvedimenti potenzialmente affetti da eccesso di potere, nell’ipotesi in cui l’organo titolare della responsabilità generale (il direttore) dovesse ingerirsi di questioni squisitamente tecnico-operative (appannaggio del comandante).

Ad esempio, l’art. 18, l. n. 395/1990, affida al direttore la facoltà di disporre, con provvedimento motivato, per esigenze relative all’ordine ed alla sicurezza e sentito il comandante del reparto, che tutto il personale del reparto o parte di esso permanga in caserma o assicuri la reperibilità per l’intera durata dell’esigenza. Di conseguenza, competerà al comandante gestire le modalità tecnico-operative di impiego del personale, prevedendo ad esempio eventuali momenti di formazione teorico-pratica, briefing con il personale dei ruoli semi-apicali, fruizione della mensa ordinaria di servizio, tipologia degli strumenti di contatto.

La responsabilità generale, ordinariamente riconosciuta in capo al Direttore circa il mantenimento dell’ordine e della sicurezza penitenziaria, trova ulteriore addentellato nell’art. 74, comma 6, d.P.R. n. 230/2000, che per operazioni di perquisizione generale (naturalmente aventi qualificazione giuridica amministrativa) gli consente di avvalersi, in casi eccezionali, della collaborazione di personale appartenente alle Forze di polizia e alle altre Forze poste a disposizione del Prefetto, ex art. 13, comma 5, l. n. 121/1981[35].

Come anticipato, il naturale alter ego del direttore è rappresentato in ambiente penitenziario dal comandante del reparto, solitamente appartenente alla carriera dei funzionari, cui l’art. 6, comma 10, d.lg. 21 maggio 2000, n. 146[36], conferisce i poteri di organizzazione dell’area della sicurezza[37], anche emanando, nell’ambito delle direttive impartite dal Direttore dell’istituto, gli ordini di servizio previsti dagli artt. 29 e 33, d.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82 (c.d. regolamento di servizio del corpo di polizia penitenziaria).

A sua volta, il regolamento di servizio vigente, in attesa che siano adottati gli adeguamenti ad esso previsti dall’art. 35, d.lg. 27 dicembre 2019, n. 172[38], conferisce al comandante del reparto una serie di compiti di sostanziale diretta collaborazione al direttore, formulando proposte o pareri obbligatori, ma non vincolanti, si pensi all’impiego nei posti di servizio che richiedono particolare esperienza (art. 21, comma 2), nei rinforzi (art. 22, comma 1), alla protrazione dell’orario di servizio del personale di polizia penitenziaria (art. 27, comma 2), al controllo sui servizi (art. 28), alla predisposizione degli ordini di servizio da parte del direttore o del c.d. foglio di servizio da parte del comandante medesimo (art. 30).

Invero, la disposizione più importante in materia è l’art. 32, comma 4, d.P.R. n. 82/1999, il cui esordio è esattamente speculare rispetto all’art. 2, d.P.R. n. 230/2000, creandosi un pericoloso cortocircuito in termini di competenze, visto che nella prima norma si prevede che «Il comandante del reparto assicura il mantenimento dell’ordine e della sicurezza dell’istituto», mentre nella seconda è «Il direttore dell’istituto (che) assicura il mantenimento della sicurezza e del rispetto delle regole».

Alla luce, quindi, dell’impianto normativo così ricostruito ed al fine di eliminare il citato cortocircuito, si ritiene che tra direttore e comandante, per evitare patologici conflitti, nonché pericolose sovrapposizioni di competenze e di responsabilità, sarebbe più utile addivenire alla definizione di un rapporto non dissimile da quello attualmente sussistente tra prefetto e questore (tra i quali com’è noto non v’è subordinazione gerarchica), riconoscendosi al primo (il direttore) il compito di attuare le direttive dell’amministrazione penitenziaria e la correlata responsabilità generale della struttura penitenziaria e della sua sicurezza, da condensare poi nel c.d. progetto di istituto; al secondo (il comandante), invece, una specifica competenza tecnico-operativa in materia di ordine e sicurezza intramuraria, che si salda in modo coerente con le funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, riconosciute ex lege al funzionario o dirigente di polizia penitenziaria e non anche al Direttore.

Il rapporto ipotizzato tra questi ultimi due organi, rebus sic stantibus, opera in prospettiva de iure condendo, almeno fino a quando le competenze del primo, de iure condito, risulteranno assorbenti e soverchianti rispetto a quelle del secondo, schiacciato nelle proprie capacità operative da una vision penitenziaria spesso non condivisa, più orientata alla gestione ed al mantenimento di posizioni corporative, oltre che della “pax sindacale”, piuttosto che alla definizione condivisa e coordinata di un modello manageriale ed istituzionale al passo con i tempi, ostaggio di «un ancorato e resistente retaggio di gerarchia»[39], che a volte induce questi due organi a condurre un’esistenza lavorativa da “separati in casa”.

 

  1. La dissolvenza dell’ordre en prison nell’ordre dans la rue: le competenze del Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria

 

I confini tra l’ordre en prison e l’ordre dans la rue, fino a questo momento sostanzialmente netti, subiscono una sorta di progressiva dissolvenza, in modo direttamente proporzionale alla complessità dello scenario operativo considerato, il cui acme è costituito dalla richiesta di intervento delle Forze di polizia, ex art. 93, d.P.R. n. 230/2000, ivi prevedendosi che qualora si verifichino disordini collettivi con manifestazioni di violenza o tali da far ritenere che possano degenerare in manifestazioni di violenza, il Direttore dell’istituto, che non sia in grado di intervenire efficacemente con il personale a disposizione, richiede al prefetto l’intervento delle forze di polizia e delle altre Forze eventualmente poste a sua disposizione, ai sensi dell’art. 13, l. n. 121/1981, informandone immediatamente il magistrato di sorveglianza, il Provveditore regionale, il DAP.

La disposizione regolamentare, avente carattere assolutamente eccezionale, supplisce alle aporie applicative ed alla inefficacia formale e sostanziale dell’art. 41-bis, comma 1 O.P.[40] che, in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, affida al Ministro della giustizia la facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati, giustificata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza ed avente durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

Il legame tra la norma di rango primario e quella regolamentare, a ben guardare, è stato già affrontato dalla dottrina, secondo la quale la prima disposizione sarebbe in qualche modo condizionata dal verificarsi degli eventi previsti dall’art. 93, d.P.R. n. 230/2000, conferendo sostanziale eccezionalità e residualità alla previsione di cui al comma 1 dell’art. 41-bis O.P.[41], e in un certo qual modo funzionalizzando la sospensione (postuma) delle normali regole di trattamento al ripristino integrale (e preventivo) dell’ordine e della sicurezza intramuraria.

Se questo è il “quadro” normativo di riferimento, si ha l’impressione che la “cornice” giuridica, predisposta dalle recenti Linee guida per la pianificazione provinciale degli interventi a seguito di manifestazioni di protesta e disordini negli istituti penitenziari, adottate dal DGPS a fine gennaio 2021, non vi si adatti alla perfezione, rischiando di innescare conflitti di competenze non solo all’interno dell’Amministrazione penitenziaria, ma anche all’esterno.

Infatti, problematica appare la valutazione operata nel documento circa le competenze del comandante e del direttore, ivi ritenendosi che il combinato disposto degli artt. 31, d.P.R. 82/1999 e 93, d.P.R. n. 230/2000, in ordine all’intervento delle Forze di polizia, affidi in via esclusiva al comandante del reparto di polizia penitenziaria il mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno dell’istituto e al direttore la «residuale facoltà di richiedere al Prefetto» il predetto intervento, quando gli eventi non siano gestibili con le risorse a disposizione.

Invero, l’errore interpretativo in cui sembra essere incappato l’estensore delle Linee guida è rappresentato dalla crasi tra il concetto di responsabilità della struttura, riferito al direttore, e di responsabilità della sicurezza, appannaggio del comandante, non comprendendosi che quest’ultima (in via ordinaria e generale) grava sempre in capo al direttore, cui sono imputate tutte le scelte strategiche relative alla struttura penitenziaria e le correlate responsabilità, da quella contabile (in quanto unico funzionario delegato) a quella in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (in quanto datore di lavoro ex d.lg. n. 81/2008), da quella relativa alle relazione sindacali (essendo l’unico interlocutore delle organizzazioni sindacali) a quella gestionale del personale e dell’utenza detenuta (vista l’assenza del comandante del reparto dal consiglio di disciplina relativo ai detenuti, ove potrebbe fungere da “funzionario istruttore” illustrando l’incolpazione).

Diversamente, si correrebbe il rischio di addivenire ad una sottovalutazione delle responsabilità del direttore e sopravvalutazione di quelle del comandante del reparto, facendo assumere a quest’ultimo l’ingrato ed inconsapevole ruolo di “parafulmine”, se non di vero e proprio “capro espiatorio”, specie se si considera la naturale sovrapposizione operata in generale dall’autorità giudiziaria tra funzione di comando e responsabilità, correlata ai modelli gerarchici tipici dell’organizzazione di polizia o della pubblica amministrazione.

Volendo fornire una sorta di re-interpretazione adeguatrice del combinato disposto in parola, in modo coerente con l’impianto dell’O.P. e della l. n. 121/1981, si dovrebbe sostenere che la responsabilità dell’ordine e della sicurezza è prerogativa prioritaria e generale del direttore, con la collaborazione solo tecnica del comandante del reparto (cui competerebbe una responsabilità gestionale di natura tecnico-operativa), fino a quando il Direttore non attiva la “soluzione prefettizia”, di fatto abdicando al proprio ruolo istituzionale di garante dell’ordine e della sicurezza.

La metafora che viene alla mente in questa occasione non è dissimile da quella che vedrebbe il direttore, novello James Bond ed alla guida della proverbiale Aston Martin (il carcere), premere il proverbiale tasto eject (l’art. 93, d.P.R. n. 230/2000), espellendo il proprio sedile dal veicolo e lasciandovi a bordo il solo comandante che, in virtù delle propria qualifica di sostituto ufficiale di pubblica sicurezza (quando appartenente alla carriera dei funzionari), sarà sottoposto all’eterodirezione del questore territorialmente competente, in quanto responsabile tecnico-operativo della gestione dell’evento critico, quale autorità di P.S. deputata al mantenimento dell’ordine pubblico.

Da questo momento, cioè da quando viene richiesto l’intervento eccezionale all’interno dell’Istituto, la gestione dell’evento critico non sarà più quella ordinaria di tipo intramurario, ma vera e propria attività di ordine pubblico, con correlata ordinanza di servizio del questore.

La nota positiva delle linee guida adottate dal DGPS consiste nell’applicazione formale e strutturata del modello del coordinamento[42], dell’analisi preventiva e dell’approccio integrato, visto lo status delle persone ristrette e del contesto operativo, anche ad eventi come quelli verificatisi tra marzo e aprile 2020, approccio che forse è in parte mancato in quell’occasione a livello sistemico.

Ciò consente, in primis, di assistere al riconoscimento ufficiale delle competenze tecniche e giuridiche in materia di pubblica sicurezza dei comandanti del reparto, non solo in occasione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica (c.d. CPOSP), quanto e soprattutto in sede di pianificazione operativa provinciale e di svolgimento delle riunioni tecniche di coordinamento, ove sovente queste figure risultavano assenti poiché non invitate, evocandosi il solo direttore.

La pianificazione delle attività di intervento operativo, in quanto materia di stretta pertinenza alla pubblica sicurezza, prevede correttamente il coinvolgimento esclusivo del comandante del reparto e del nucleo investigativo regionale competente, con soluzioni interforze calibrate sullo scenario di rischio, secondo un modello progressivo e concentrico che vede le forze coinvolte agire dall’esterno (piano di sicurezza esterno) verso l’interno, fino all’adozione della soluzione estrema, rappresentata dall’intervento eccezionale all’interno dell’istituto da parte delle forze di polizia colà sopraggiunte, congiuntamente alla polizia penitenziaria, qualora i tempi di reazione dell’amministrazione penitenziaria non siano rapidi[43].

La considerazione delle specifiche competenze tecniche del comandante del reparto appare una costante all’interno delle Linee guida, specie nel rapporto tecnico col questore, incaricato di dirigere le operazioni, non escludendosi che esse fino al suo arrivo siano affidate al medesimo comandante in quanto sostituto ufficiale di pubblica sicurezza, a meno che non sopravvenga medio tempore il dirigente del locale commissariato, avente funzioni di ufficiale di pubblica sicurezza, il quale auspicabilmente opererà in sinergia con il citato comandante, avendo solo quest’ultimo la precisa conoscenza dello scenario operativo.

 

  1. Osservazioni conclusive

 

A questo punto, de iure condendo, oltre alla reingegnerizzazione della relazione giuridica tra direttore e comandante del reparto, non si può che auspicare il riconoscimento della qualità di ufficiale di pubblica sicurezza al comandante del reparto, limitatamente all’ambiente penitenziario, accreditando formalmente quella specificità tecnico-operativa che da sempre è elemento distintivo del personale del corpo di polizia penitenziaria e che andrebbe corroborata da interventi di carattere formativo teorico-pratici in favore del personale della carriera dei funzionari e da questi a cascata sul restante personale del reparto, così da conferire dignità tecnica alle attività di pubblica sicurezza in ambiente penitenziario, al pari di quanto già avviene storicamente per la polizia di Stato[44].

Del pari, al fine di evitare pericolosi cortocircuiti interni all’Amministrazione penitenziaria, e sebbene in claris non fit interpretatio, non sarebbe peregrino che si chiarissero a livello normativo le questioni relative (alla competenza e) all’uso delle armi in ambiente penitenziario, tuttora rimessa dall’art. 41 O.P. nelle mani di quella figura istituzionale (il direttore), cui le linee guida riconoscono la capacità di abdicare ai propri compiti, senza chiarire se ciò implichi anche il passaggio di responsabilità in materia in capo al questore che dirige le operazioni. Ciò appare oltremodo necessario, alla luce del semplice rinvio (senza alcun chiarimento ulteriore) operato dalle Linee guida alla disposizione dell’O.P.

Infine, non si può escludere che le linee guida possano aver cristallizzato una sorta di onere informativo stabile verso le autorità di P.S. (e quindi non solo in sede di Tavolo tecnico provinciale) in capo al comandante, in quanto sostituto ufficiale di pubblica sicurezza e con riferimento alle questioni penitenziarie, non dissimile da quello tuttora esistente tra il medesimo comandante, in quanto ufficiale di polizia giudiziaria, e l’autorità giudiziaria competente, suscettibile però di rinfocolare diatribe mai sopite tra comandanti e direttori, basti pensare alla possibilità che il primo, non condividendo alcune scelte organizzative adottate ordinariamente dal secondo, suscettibili di avere impatto sulla sicurezza della struttura penitenziaria, le possa rappresentare alle autorità di P.S., col rischio che gli possa essere contestata la violazione dell’art. 2, comma 2, lett. d), n. 2), d.lg. n. 63/2006.

Ma come diceva Ezra Pound, «Se un uomo non intende correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o n

(*) Dottore di ricerca in diritto del lavoro (XVII° ciclo) e diritti umani (XXIV° ciclo) nell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari e Dirigente di Polizia penitenziaria in servizio presso gli Istituti Penali di Trani. La presente opera è frutto esclusivo delle opinioni dell’Autore e non è assolutamente impegnativa per l’Amministrazione pubblica di riferimento.

[1] Sui quali non si esclude che sia chiamata a pronunciarsi la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come evidenzia C. Minnella, Coronavirus ed emergenza carceri: la via del ricorso alla Corte di Strasburgo, in Sistema Penale, 15 maggio 2020.

[2] A livello operativo, l’intensità, la velocità e la molteplicità di eventi critici verificatisi sull’intero territorio nazionale hanno presumibilmente frustrato il funzionamento della gran parte dei piani per la sicurezza degli istituti e servizi penitenziari, il cui coordinamento, ex art. 10, comma 1, lett. g), d.lg. n. 30 ottobre 1992, n. 444, compete ai Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria, non essendo peregrino interrogarsi sulla loro adeguatezza al momento storico.

[3] Sulla carenza di informazioni quale concausa delle rivolte, cfr. V. Manca, Covid-19 e carceri: un’emergenza al quadrato, umana e sanitaria, in ilpenalista.it, 16 marzo 2020; sulla pessima comunicazione delle notizie relative alla diffusione del COVID-19, con riferimento all’ambiente penitenziario v. R. De Vito, Il vecchio carcere ai tempi del nuovo colera, in Quest. giust., 11 marzo 2020; adde, M. Miravalle, Le scelte del legislatore, in Antigone (a cura di), Il carcere al tempo del coronavirus – XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, Roma, 2020, 112 ss., spec. 114.

[4] Su cui v. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Relazione al Parlamento per il 2020, in garantenazionaleprivatiliberta.it, 26 giugno 2020, spec. 62 ss.

[5] Su tutte si segnalano quelle di Modena e Rieti, su cui v. M. Gentile, L. Sterchele, Il caso Modena, in Antigone, op. cit., 65 ss.

[6] Surreale è stata quella verificatasi presso la Casa circondariale di Foggia nella mattina del 9 marzo 2020 con 72 detenuti evasi, tutti ripresi a seguito delle ricerche avviate dalle forze dell’ordine o costituitisi spontaneamente nei giorni successivi. L’ultimo evaso ad essere catturato è stato il 37enne Cristoforo Aghilar, reo confesso dell’omicidio pluriaggravato di Filomena Bruno, madre della sua ex fidanzata, compiuto il 29 ottobre del 2019, per il quale era stato sottoposto a fermo dal pubblico ministero. Aghilar è stato arrestato dai Carabinieri in agro di Minervino Murge (BT) alle prime luci dell’alba del 29 luglio 2020. Le immagini dell’evasione, riprese da alcuni smartphone, sono reperibili al seguente link http://www.norbaonline.it/ondemand-dettaglio.php?i=87508.

[7] Cfr. H. Bassi, I morti e la questione dipendenze, in Antigone, op. cit., 69 ss.
V. anche S. Vecchio, Lo stigma del tossico e la verità sospesa sulle morti dei tredici detenuti, in dirittopenaleuomo.org, 1 aprile 2020, che si chiede come abbiano fatto i detenuti di Modena a prelevare il metadone dalle infermerie quando esso è normalmente chiuso in cassaforte. Una (possibile) descrizione dei momenti concitati verificatisi presso la Casa circondariale di Modena all’atto della rivolta è fornita da C. Bonini, G. Foschini, L. Pleuteri, F. Tonacci, I segreti di una rivolta, in repubblica.it, 17 gennaio 2021.

[8] Evidenzia come «le rivolte di questi giorni testimoniano una preoccupante fragilità del sistema penitenziario, sotto il profilo della capacità di garantire condizioni di sicurezza e di ordine pubblico all’interno e all’esterno degli istituti», G.L. Gatta, Carcere e coronavirus: che fare?, in Sistema Penale, 12 marzo 2020.

[9] Si pensi ai milioni di euro di danni (si parla di almeno 70 milioni) ed ai posti-letto persi per effetto degli eventi di marzo 2020, cui ha cercato di porre rimedio il Governo con il finanziamento di interventi urgenti di rifunzionalizzazione per un importo pari a 20 milioni di euro, ex art. 86, d.lg. 17 marzo 2020 n. 18, in regime di somma urgenza ai sensi dell’art. 163, d.lg. 18 aprile 2016, n. 50, come evidenziato da circ. DAP-UCD 20 marzo 2020, prot. n. m_dg.GDAP.20/03/2020.0094745.U.

[10] V. A. Massaro, Salute e sicurezza nei luoghi di detenzione: coordinate di un binomio complesso, in Eadem (a cura di), La tutela della salute nei luoghi di detenzione, Roma Tre-Press, Roma, 2017, 23 ss., spec. 85, secondo la quale «Il concetto di sicurezza “esterna” fa riferimento alla necessità di apprestare un adeguato filtro rispetto a quello che c’è oltre le mura, non solo per assicurare l’effettiva esecuzione della pena (contenendo il rischio di evasione), ma anche per evitare contatti con l’eventuale compagine criminale di provenienza. La sicurezza “interna” si riferisce, per contro, alla necessità di garantire il rispetto delle norme di comportamento nei rapporti tra operatori e detenuti, nonché tra singoli detenuti».

[11] Cfr. circ. DAP-DGPR 16 giugno 2020, prot. n. m_dg.GDAP.16/06/2020.0207897.U che, prendendo atto delle difficoltà gestionali affrontate in modo encomiabile dal personale di Polizia penitenziaria in occasione dell’emergenza pandemica, invita le direzioni degli Istituti a far pervenire proposte di ricompensa per quelle unità di personale che si siano distinte per l’occasione.

[12] In generale sulle tutele offerte al personale sanitario in ambiente lavorativo v. S. Caffio, L’infortunio per Covid-19 del personale sanitario, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2020, 446 ss.; nonché v. F. Perchinunno, Covid-19 e tutela degli operatori sanitari, in V. Filì (a cura di), Covid-19 e rapporto di lavoro, in D. Garofalo, M. Tiraboschi, V. Filì, F. Seghezzi (a cura di), Welfare e lavoro nella emergenza epidemiologica, ADAPT University Press, Modena, e-Book series n. 89, 98 ss.

[13] Gli eccezionali eventi verificatisi a marzo 2020 meriterebbero una riflessione anche sotto il profilo della possibile applicazione dell’art. 44, d.lg. 9 aprile 2008, n. 81, secondo cui «Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa». Sul punto il d.m. 18 novembre 2014, n. 201, attuativo dell’art. 3, d.lg. n. 81/2008, prevede in modo generico che si debba tener conto delle particolari esigenze connesse ai servizi istituzionali espletati e alle specifiche peculiarità organizzative e strutturali delle strutture giudiziarie e penitenziarie. In argomento v. S. Monetini, Art. 11. Servizio sanitario, in S. Consolo (a cura di), Codice penitenziario commentato, Laurus Robuffo, Roma, 2020, 81 ss., spec. 83 e 108. Per una riflessione di carattere generale sull’art. 44, d.lg. n. 81/2008, cfr. V. Speziale, Violazione degli obblighi di sicurezza e abbandono del posto di lavoro ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. n. 81 del 2008 nell’emergenza Covid-19, in O. Bonardi, U. Carabelli, M. D’Onghia, L. Zoppoli (a cura di), Covid-19 e diritti dei lavoratori, Ediesse, Roma, 2020, 69 ss., spec. 83 ss.; D. Mezzacapo, Misure in tema di distanziamento sociale, dispositivi di protezione individuale e sanificazione dei locali aziendali nell’emergenza Covid-19. Inadempimento datoriale e rifiuto di eseguire la prestazione, in A. Pileggi (a cura di), Il diritto del lavoro dell’emergenza epidemiologica, Edizioni LPO, Roma, 2020, 85 ss., spec. 94 ss.; quanto al rapporto tra art. 44, d.lg. n. 81/2008 e lavoro nella sanità, v. A. Di Stasi, La sicurezza del lavoro nella sanità al tempo del Covid-19, ivi, 265 ss.

[14] In tal senso C. Paterniti Martello, Le proteste, in Antigone, op. cit., 63 ss.

[15] Su cui v. C. Bonini, G. Foschini, L. Pleuteri, F. Tonacci, op. cit. La rivolta è, altresì, balzata agli onori della cronaca in ragione della lettera consegnata dai detenuti alle Autorità intervenute sul posto nella sera del 7 marzo 2020, di cui dà conto F. Miele, Ecco il papello con le richieste dei detenuti in rivola a Salerno, i loro desideri in tutta Italia sono stati assecondati, in juorno.it, 24 aprile 2020 (https://www.juorno.it/ecco-il-papello-con-le-richieste-dei-detenuti-in-rivolta-a-salerno-i-loro-desideri-in-tutta-italia-sono-stati-assecondati/). Orbene, esaminando la foto pubblicata sul sito in parola, compaiono complessivamente otto richieste che si riportano pedissequamente: «1) il tampone ai singoli detenuti ristretti in questo istituto; 2) il tampone al personale sanitario e penitenziario; 3) il personale sanitario e penitenziario deve rimanere ristretto nella casa circondariale; 4) la garanzia che ogni detenuto, visto che i colloqui non vengono effettuati, potrà comunicare con la famiglia tramite video; 5) aumento del personale in turno in relazione al notturno, vista la carenza del personale nei turni notturni; 6) assistenza immediata e completa di chi soffre patologie varie e sono più a rischio di infezione; 7) sollecitare i tribunali a concedere pene alternative, in modo tale da concedere ad ogni ristretto in questo istituto a scontare la propria pena ai domiciliari in modo tale da poter contrastare e prevenire o meglio curare l’emergenza “corona virus” che sta circondando e invadendo il nostro sistema; 8) che nessun detenuto venga sanzionato o trasferito in quanto questa protesta è rivolta alle istituzioni per salvaguardare la nostra incolumità e quella degli agenti penitenziari. Sottolineando che durante la nostra protesta nessun agente penitenziario ha subito lesioni o aggressione». A distanza di quasi un anno dalla rivolta di Salerno, alcune delle richieste contenute nel famigerato “papello” appaiono comunque dettate da buonsenso e ragionevolezza, tanto da essere state successivamente fatte proprie dalla stessa amministrazione penitenziaria e sanitaria (si pensi all’esecuzione di tamponi ai detenuti e al personale, ovvero alla implementazione dell’assistenza sanitaria intramuraria), se non addirittura dal legislatore, si pensi alla previsione oramai strutturale dei videocolloqui. Fanno invece sorridere, ma anche riflettere, le richieste di aumento del personale nel turno notturno da parte dell’utenza, quasi a voler costituire una sorta di endorsement rispetto all’aumento delle piante organiche del Corpo di polizia penitenziaria avanzate dalle organizzazioni sindacali di categoria ed ancora in discussione presso il DAP. Ovviamente non è stata recepita la richiesta di impunità avanzata dall’utenza in relazione agli eventi critici del 7 marzo 2020, dei quali si presume si stia occupando la competente Procura della Repubblica, essendo assolutamente irrilevante il dato relativo all’assenza di lesioni personali nei confronti del personale.

[16] In tal senso v. Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, op. cit., 63, che evidenzia come «In quelle situazioni si è sanato il deficit di comunicazione e si sono prospettate le ipotesi di riduzione della difficoltà che indubbiamente la nuova realtà di separazione da altre figure e, in particolare, dai propri affetti, stavano per determinare».

[17] L’ultima in ordine di tempo è quella verificatasi presso la Casa circondariale di Varese il 23 gennaio 2021, su cui v. https://www.prealpina.it/pages/varese-rivolta-in-carcere-239570.html.

[18] In tal senso v. Curri F., “La fretta, che l’onestade ad ogni atto dismaga”, in Cass. pen., 2007, fasc. 5, 2256B, spec. § 3.1, che evidenzia, con riferimento all’art. 14, l. 1° aprile 1981, n. 121, come «tale norma, inserita nel Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, qualifica il questore come “autorità provinciale di pubblica sicurezza”, con attribuzioni in materia di ordine e di sicurezza pubblica, sicché il territorio della provincia segna la sfera di attribuzioni di tale organo con indispensabile riferimento ai fatti in esso verificatisi, che abbiano incidenza, appunto, sull’ordine e sulla sicurezza pubblica in ambito provinciale». In giurisprudenza v. Cass., Sez. pen. I, 22 settembre 2004, n. 38661.

[19] In argomento v. A. Pace, La sicurezza pubblica nella legalità costituzionale, in Rivista AIC, 2015, n. 1, 6 febbraio 2015.

[20] Cfr. ex multis, Cass., Sez. pen. I, 16 aprile 2018, n. 44972.

[21] Così R. Turrini Vita, Prefazione, in Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali (a cura di), Le Regole Penitenziarie Europee, Ministero della giustizia, Roma, 2007, 5 ss., spec. 6; E.V. Sardina, Le nuove regole penitenziarie del Consiglio d’Europa. Aspetti teorici e limiti pratici di applicabilità, in dirittopenaleuomo.org, 21 ottobre 2020, spec. 1; G. Chiodo, Il regime detentivo speciale e le fonti sovranazionali: una tensione costante, in giurisprudenzapenale.com, 20 gennaio 2020, spec. 9 ss.; A. Lorenzetti, Le “zone d’ombra” dei diritti sociali: la tutela della dignità delle persone detenute fra strumenti di soft law e discrezionalità amministrativa, in Aa.Vv., Spazio della tecnica e spazio del potere nella tutela dei diritti sociali, Aracne, Roma, 2014, 229 ss., spec. 234 ss.

[22] V. A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Archivio giuridico, 1963, vol. XXXIV, sesta serie, fasc. 1-2, ora in Idem, Per la Costituzione. Scritti scelti, ES, Napoli, 2019, vol. II, 797 ss. e Idem, Libertà e sicurezza. Cinquant’anni dopo, in Dir. soc., 2013, 203 ss.; adde, L. Longhi, Il concetto giuridico di ordine pubblico tra diritto alla sicurezza e sicurezza del diritto. brevi riflessioni a margine dei due scritti di Alessandro Pace sull’argomento, in Giur. cost., 2019, 3461 ss.

[23] Su cui ovviamente, v. M. Hauriou, Précis élémentaire de droit administratif, Librarie du Recueil Sirey, Paris, 1938, IV ed., spec. 34.

[24] V. L. Longhi, op. cit., spec. §§ 4 e 5.

[25] Art. 30, comma 1, lett. a), l. 15 dicembre 1990, n. 395.

[26] Cfr. da ultimo circ. DAP-UCD 19 febbraio 2020, prot. n. m_dg.GDAP.19/02/2020.0056531.U, recante le Linee programmatiche del Capo del Dipartimento per il 2020.

[27] Art. 2, comma 1, d.P.R. n. 230/2000, che replica sostanzialmente il contenuto dell’art. 31, comma 4, d.P.R. n. 82/1999, ivi prevedendosi che il Comandante del reparto assicura il mantenimento dell’ordine e della sicurezza dell’istituto (ma in argomento v. infra).

[28] Su cui v. A. Ignarra, La riforma della dirigenza penitenziaria, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2006, 752 ss.

[29] V. l’art. 2, comma 2, lett. b), d.lg. n. 63/2006.

[30] V. l’art. 2, comma 2, lett. d), n. 2), d.lg. n. 63/2006.

[31] In tal senso I. Sturniolo, Ruolo, compiti, profilo del direttore penitenziario, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1983, 577 ss.; G. Neppi Modona, Ordinamento penitenziario (voce), in Dig. Disc. Pen., 1995, IX, 41 ss., spec. 60; C. Brunetti, M. Ziccone, Manuale di diritto penitenziario, La Tribuna, Piacenza, 2004, spec. 110; M. Canepa, S. Merlo, Manuale di diritto penitenziario, Giuffrè, Milano, 2004, spec. 84.

[32] In merito, v. circ. DAP 7 febbraio 1992, n. 3337/5787.

[33] In tal senso v. l’art. 9, comma 1, lett. g), l. n. 395/1990.

[34] Infatti, giova rammentare che il direttore di istituto penitenziario appartiene alla autonoma carriera della dirigenza penitenziaria, disciplinata dalla l. 27 luglio 2005, n. 154, dal d.lg. 15 febbraio 2006, n. 63, mentre il Comandante è un appartenente alla carriera dei funzionari del Corpo di Polizia penitenziaria, di cui al d.lg. n. 146/2000.

[35] Per una riflessione approfondita sul ruolo del Prefetto, d’obbligo il rinvio a C. Mosca, Il Prefetto e l’Unità nazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016.

[36] L’art. 6, d.lg. n. 146/2000, è stato sostituito dall’art. 40, comma 1, lett. c), d.lg. 29 maggio 2017, n. 95 e successivamente dall’art. 32, comma 1, lett. c), d.lg. 27 dicembre 2019, n. 172, nel tentativo di eliminare le numerose aporie presenti nella originaria versione e sulle quali sia consentito il rinvio a V. Lamonaca, Funzioni (e finzioni) degli appartenenti ai ruoli direttivi del Corpo di Polizia Penitenziaria: una possibile evoluzione, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, 2010, 461 ss. Giova evidenziare comunque come il risultato della novella abbia creato ulteriori criticità, allo stato non ancora eliminate.

[37] Nello specifico, secondo l’art. 6, comma 10, d.lg. n. 146/2000, il Comandante sovrintende alle attività di competenza dell’area sicurezza, coordinando l’azione e gli interventi operativi normativamente attribuiti al personale del Corpo dei restanti ruoli, gerarchicamente subordinati, specialmente in materia di ordine e sicurezza, osservazione e trattamento delle persone detenute ed internate. Sovrintende altresì all’organizzazione dei servizi ed all’operatività del contingente del Corpo di Polizia penitenziaria, alla idoneità delle caserme, delle mense, dell’armamento e dell’equipaggiamento. Compiti non dissimili, poi, sono conferiti dal successivo comma 11, dell’art. 6, d.lg. n. 146/2000, ai responsabili dei Nuclei Traduzione e Piantonamento, a prescindere dalla qualità di Comandante (e quindi titolare di servizio, ex art. 31, d.P.R. n. 82/1999) o Coordinatore (e quindi semplice responsabile di Unità operativa, ex art. 33, d.P.R. n. 82/1999).

[38] La disposizione prevede che nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore dell’art. 35, d.lg. n. 172/2019 (termine abbondantemente scaduto), con le modalità previste dall’art. 29, comma 1, l. n. 395/1990, siano apportati al regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria gli adeguamenti conseguenti all’entrata in vigore delle disposizioni contenute nel capo IV del d.lg. n. 172/2019.

[39] Cfr. M. Valentini, L’ordinamento del sistema amministrativo ed operativo dell’informazione per la sicurezza, in C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone, M. Valentini, I servizi di informazione e il segreto di Stato, Giuffrè, Milano, 2008, 95 ss., spec. 98.

[40] V. S. Ardita, Il regime detentivo speciale 41 bis, Giuffrè, Milano, 2007, spec. 12, che dà conto dell’unico decreto ministeriale applicativo dell’art. 41-bis, comma 1, O.P., sospensivo dell’efficacia di alcune regole di trattamento presso la Casa circondariale di Palemo Ucciarone sino al 31 luglio 1989 (d.m. giust. 24 maggio 1989).

[41] L. Cesaris, Sub art. 41-bis ord. penit., in V. Grevi, G. Giostra, F. Della Casa (a cura di), Ordinamento penitenziario, Cedam, Padova, 2015, 442 ss., spec. 447.

[42] Su cui d’obbligo C. Mosca, Il coordinamento delle Forze di polizia (teoria generale), Cedam, Padova, 2005.

[43] Si fa riferimento ai piani per la sicurezza degli istituti e servizi penitenziari il cui coordinamento, ex art. 10, comma 1, lett. g), d.lg. n. 444/1992, compete ai Provveditori regionali dell’Amministrazione penitenziaria.

[44] E. Gargiulo, Ordine pubblico, regole private. Rappresentazioni della folla e prescrizioni comportamentali nei manuali per i Reparti mobili, in Etnografia e ricerca qualitativa, 2015, 481 ss., spec. 481, secondo il quale «Le regole che governano il comportamento della polizia nell’esercizio delle funzioni di ordine pubblico sono un oggetto di studio scivoloso e difficile da fissare. L’ordinamento italiano non contiene norme che prescrivano chiaramente cosa il personale possa e non possa fare (…). Più in generale, i confini giuridici che perimetrano le azioni dei reparti mobili, ossia di quella parte del personale destinata ai servizi di ordine pubblico, sono indefiniti o, al più, porosi, in quanto tali azioni non sono normate se non attraverso strumenti amministrativi».