di Michela Bevere

 

Il 31 maggio 2019 cambia per sempre il destino dello stabilimento Whirlpool di via Argine a Napoli. Si è tenuto a Roma un incontro tra sindacati e azienda sull’andamento del piano industriale contenuto nell’accordo siglato il 25 ottobre del Nell’occasione la multinazionale americana ha proiettato una slide con una “X” sullo stabilimento di Napoli. È la conferma che il sito partenopeo verrà ceduto, con il conseguente rischio di licenziamento dei 420 dipendenti. L’azienda ha affermato che il business delle lavatrici non è sostenibile e che lo stabilimento ha registrato perdite di 20 milioni l’anno nel periodo 2018-2019.

Parte subito la protesta. La vertenza diventerà ben presto simbolo della lotta e della resistenza delle lavoratrici e dei lavoratori meridionali di fronte alla scelta delle multinazionali di avviare processi di delocalizzazione, dopo aver incassato incentivi dello Stato (10 milioni di euro solo per il sito di Napoli). Secondo il recente rapporto dell’Eurostat, la Campania è tra le cinque regioni europee con l’occupazione più bassa nel 2021, insieme a Sicilia, Calabria, Puglia e la regione della Guyana francese. Il tasso di occupazione in Campania è pari al 41,3% a fronte di una media dell’Ue del 68,4%.

L’accordo sul piano industriale di Whirlpool siglato il 25 ottobre 2018 prevedeva 250 milioni di investimenti in Italia per i successivi tre anni per tutti gli stabilimenti del gruppo, compreso quello di Napoli. Evidentemente l’accordo è stato disatteso dalla multinazionale americana, che ha deciso di chiudere il sito partenopeo, senza alcuna convincente giustificazione, nonostante il rimbalzo della domanda nel mercato dell’elettrodomestico per effetto della pandemia con il conseguente aumento dei profitti, realizzando 5 milioni di prodotti nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa).

Il primo novembre del 2020 sono cessate le attività produttive nello stabilimento di via Argine. Successivamente, il 14 luglio 2021 Whirlpool ha avviato la procedura di licenziamento collettivo, avvalendosi fin da subito della finestra temporale dello sblocco dei licenziamenti, consentito in via generale dal governo a partire dal primo luglio di quell’anno.

A conclusione della procedura, il 3 novembre 2021 arrivano le lettere di licenziamento. La multinazionale, oltre a comunicare il recesso dal rapporto di lavoro con effetto immediato, pone i lavoratori di fronte alla scelta, da effettuare entro il termine perentorio del 30 novembre: accettare la somma di 85 mila euro o in alternativa il trasferimento presso lo stabilimento di Cassinetta, in provincia di Varese. Di fronte allo scenario di incertezza, i sindacati non ci stanno e il 23 novembre decidono, a causa del mancato intervento del governo e dell’imposizione dell’impresa, di rimanere nella notte all’interno degli uffici del Ministero dello Sviluppo economico. Si arriverà ad un accordo che prevede per 317 lavoratrici e lavoratori una buonuscita di 95 mila euro e due anni di Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego), nonchè l’impegno del governo a farsi garante della realizzazione di un progetto di reindustrializzazione. Solo quattro lavoratori hanno accettato il trasferimento a Varese.

La chiusura dello stabilimento di Napoli si realizza a causa dell’impotenza del governo di opporsi alle decisioni della multinazionale, determinando l’effetto domino di una serie di chiusure di stabilimenti e delocalizzazioni che risalgono a circa un anno fa, come è accaduto per la GKN di Firenze. Con la legge di Bilancio 2021 è in vigore la norma anti-delocalizzazioni che per la prima volta stabilisce una procedura in caso di chiusura di uno stabilimento. La norma obbliga l’impresa, la cui dimensione occupazionale sia di almeno 250 dipendenti, alla comunicazione per iscritto, ai sindacati e al governo, novanta giorni prima della chiusura con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50. Il datore di lavoro è tenuto ad elaborare un piano della durata di dodici mesi per salvare l’occupazione con l’obiettivo di raggiungere un accordo sindacale. E’ prevista, in caso di inosservanza, una sanzione, la cui dimensione è stata giudicata dal sindacato non dissuasiva. La disciplina pone un vincolo legittimo alla libertà economica dell’impresa, sancita dalla nostra Costituzione all’articolo 41, il cui esercizio è condizionato al rispetto dell’utilità sociale, della libertà e della dignità dei lavoratori.

Sono passati esattamente tre anni dall’annuncio della chiusura del sito di via Argine. Sono stati anni di iniziative e di lotta per tenere aperta una realtà produttiva importante per Napoli e per impedire la desertificazione industriale al Sud. Chiunque arrivi in città dall’autostrada, non può non accorgersi che lo stabilimento, ormai ex Whirlpool, è uno dei pochi siti industriali rimasto ancora attivo nell’area della periferia Est. Uno spiraglio per il futuro dei dipendenti napoletani potrebbe essere il progetto di un polo dedicato alla mobilità sostenibile, che sarà realizzato da un consorzio che dovrà assorbire tutti i 317 lavoratori alle stesse condizioni economiche e normative. Sarà avviato un percorso di formazione per tutto il bacino già nel mese di luglio prossimo attraverso il programma GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori), il nuovo piano del governo per il rilancio delle politiche attive del lavoro. Nell’accordo quadro, che dovrà essere perfezionato al Ministero dello Sviluppo economico, sarà garantito anche il mantenimento dei locali del Cral (Circolo ricreativo aziendale dei lavoratori), vista la sua importante funzione di presidio sociale, culturale e di legalità per l’intero territorio partenopeo.

I tempi sono stretti, ma la svolta per le lavoratrici e i lavoratori della ex fabbrica di lavatrici si avvicina. D’altra parte, come recita il loro slogan: Napoli non molla.