Tra la fine della seconda guerra mondiale e l’arco di tempo compreso tra i decenni ’70 – ’80, la classe operaia ha ottenuto importanti miglioramenti della propria condizione e il superamento di antica arretratezza. Nel primo censimento del 1951 erano risultati centinaia di migliaia di braccianti pagati a giornata, su chiamata mattutina del caporale, che lavoravano mediamente 140 giorni all’anno, con retribuzioni di pesante miseria. Nei gloriosi anni di contestazioni e rivendicazioni, si sono estesi i diritti dei lavoratori, a partire da quello di essere trattati come persone e non come merce, usata quando serve e buttata via in caso contrario.
Verso la fine degli anni ’80 ha avuto inizio la contro-rivoluzione nel senso che i ceti sociali dominanti si sono mobilitati e hanno condotto una lo(( tta di classe dall’alto per recuperare il terreno perduto, attraverso contenimento del reddito da lavoro dipendente, irrigidimento delle condizioni di lavoro, aumento della quota dei profitti destinata al Pil. In effetti la lotta di classe condotta dal basso ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto che è gestita dai vertici economico-politici di diversi paesi che costituiscono un’unica classe globale, con superiore disponibilità economica e tecnico-scientifica. Nel libro “Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio” (Feltrinelli, 2022), Luigi Ferrajoli osserva che la crescente svalutazione del lavoro è causata dalla globalizzazione selvaggia dei rapporti di produzione, che si manifesta con la libertà delle grandi imprese di dislocare le loro attività in paesi (India, Indonesia, Filippine, Vietnam) in cui i lavoratori e soprattutto le lavoratrici sono retribuiti con 50 centesimi di dollaro l’ora, per 60 ore settimanali. Sono stati così messi in competizione circa mezzo milione di lavoratori, che hanno un buon trattamento, e un miliardo e mezzo di nuovi salariati che lavorano in condizioni miserabili (p. 34s).
A questa svalutazione generale del lavoro ha contribuito la perversa alleanza realizzatasi tra liberalismo e populismi: da un lato la disgregazione, ad opera delle politiche liberiste di precarizzazione e differenziazione dei rapporti di lavoro; dall’altro la riaggregazione, ad opera delle politiche populiste della massa di individui resi solitari e in competizione tra di loro, in nuove soggettività politiche , basate sulla difesa da supposte identità nemiche, di supposte identità collettive – « prima gli Italiani» – e sull’intolleranza e sul rifiuto dei differenti (pp 36 s).
La precarizzazione e la differenziazione dei rapporti di lavoro pongono in pericolo le tradizionali soggettività sociali e politiche (la classe operaia, il movimento operaio, il sindacato), basate sulla solidarietà e sul conflitto sociale. Si è contrapposta la aggregazione di individui resi solitari e in competizione tra loro e in posizione difensiva verso supposte identità politiche. Non più la lotta di classe, di chi sta in basso contro chi sta in alto, ma « il conflitto identitario di chi sta in basso contro chi sta ancora più in basso, dei poveri contro i poverissimi, dei cittadini contro gli immigrati; in breve, dei deboli contro i debolissimi, additati come nemici o inferiori perché su di essi si possano scaricare rabbie e frustrazioni ». Tra i debolissimi vi sono i fuggitivi dai paesi devastati dalle politiche predatorie dei paesi civili, che nella partenza sono esposti al pericolo della segregazioni in campi di tortura, nel corso viaggio sono esposti al pericolo del naufragio, all’arrivo li aspettano la riduzione in servitù, lo sfruttamento, con esproprio della dignità e della incolumità fisica (p.37s).
Le stragi dei migranti in mare e ai confini dei Paesi agognati « saranno ricordate come una colpa imperdonabile di cui i nostri governanti e quanti li hanno sostenuti dovranno un giorno vergognarsi. Non potranno dire: non sapevamo in quanto, nell’età dell’informazione sappiamo tutto: sulle migliaia di morti provocate da quelle politiche, sulle condizioni disumane nelle quali i migranti vengono sequestrati nei campi libici, sullo sfruttamento selvaggio cui molti di essi sono sottoposti una volta raggiunti i nostri paesi » (p. 37-39).
Ponendo attenzione alla politica economica del governo Draghi e del Draghi bis (minacciato nella campagna elettorale dello schieramento di centro destra), è evidente la prospettiva di una costante controriforma sociale, funzionale al maggior potere gestito da un’incontrollata oligarchia rapace e disumana, proiettata verso inediti livelli di disuguaglianza, di precarietà lavorativa, di mortalità aziendale, congiunti a un consumismo dissennato di suolo, aria, acqua.
Al di là della strategia capitalistica distruttiva della dignità e della sopravvivenza di milioni di lavoratori, va fronteggiato infatti il suo risvolto globalmente nocivo per l’umanità.
Osserva correttamente T. Montanari che l’ordine attuale è fondato sul consumo sfrenato del pianeta e sulla massima disuguaglianza possibile (Eclissi di Costituzione, Chiare Lettere, aprile 2022). « Già dieci anni fa un finissimo intellettuale socialdemocratico come Tony Judt puntava il dito contro “l’illusione di una crescita senza fine” e oggi la voce profetica di Greta Thunberg grida ai potenti che “le persone stanno soffrendo, stanno morendo. Interi ecosistemi stanno collassando. Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E tutto ciò di cui parlate sono soldi e favole di eterna crescita economica.” Draghi è tra i più abili raccontatori di quelle favole » (p. 27).
Sotto quest’ultimo profilo, non va sottovalutato che il capitalismo ci ha portato sull’orlo di un baratro ambientale, anche in virtù di una strategia economico-politica incentrata sulla riscrittura dei confini tra pubblico e privato e sulla abrogazione di fatto di fondamentali principi della Costituzione: il danno ambientale mette a rischio la salute, tutelata dall’art. 32, e ostacola lo sviluppo economico funzionale all’utilità sociale, prevista dall’ art. 41 co. 2 Cost.
E’ quindi necessario il richiamo ai principi fondamentali del diritto internazionale e della nostra Costituzione, a tutela anche delle future generazioni. A proposito della sorte dei futuri, va rilevato che nei discorsi, conformi ai progetti dei vertici economici e politici del nostro Paese, si sono consolidate le espressioni capitale umano, mercato del lavoro, come eloquente spia lessicale del pensiero dominante, che degrada la massa degli odierni e dei futuri componenti del fattore lavoro a singoli pezzi di ricambio da ammettere nella produzione a condizioni sempre più stringenti. Lo sfruttamento è ormai anticipato sin dagli ultimi anni della istruzione scolastica.
Sotto quest’ultimo profilo, va richiamata la tragedia che si è consumata in più aziende in cui studenti hanno perso la vita durante le ore di alternanza scuola-lavoro, sollevando un dibattito critico sulla efficacia educativa e formativa dei PCTO (“percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”) e in particolare sugli stage aziendali. Il buon senso e l’esperienza dell’infortunistica aziendale non hanno impedito l’introduzione di normative che avviano gli studenti a rischiare la vita nella prospettiva di acquistare maggior valore come “pezzi di ricambio” nel mercato del lavoro.
I componenti di questo fattore di produzione sono posti in anteprima nella competizione e costretti a dare prestazioni in condizioni spesso disumane e con salari insufficienti per una vita decorosa.
Osserva Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe Laterza, 2012) che dal 2008 la Confederazione internazionale dei sindacati, che conta nel mondo 150 milioni di aderenti (compresi gli iscritti dei tre sindacati confederali), promuove la giornata mondiale del lavoro dignitoso. L’espressione lavoro dignitoso è stata stilata dall’Organizzazione internazionale del lavoro, in riferimento a un salario sufficiente per un’esistenza decorosa, alla presenza di tutela sindacale, allo sviluppo professionale, alla realizzazione della persona. Ricordiamo che la nostra Costituzione fissa un chiaro legame tra economia privata e dignità umana.
E’ pacifico che la inevitabile flessibilità del fattore finanziario finisce per privare chi lavora della sua dignità. Dagli anni ’80, la produzione capitalistica ha accumulato con rapidità masse di risorse finanziarie, la cui flessibilità si riflette necessariamente sul lavoro che alimenta l’impresa. «Il lavoro deve adeguarsi. Dal punto di vista della produzione capitalistica, esso viene considerato nulla più di una voce di costo. In quest’ottica, la forza lavoro legata a produzioni di beni o servizi, che appaiono offrire un rendimento non soddisfacente al fiume di capitali che circola per il mondo, deve essere abbandonata al più presto, sostituita, tagliata, ridotta» (p.153). Il lavoro a tempo indeterminato e a orario pieno implica complicate procedure di licenziamento e comunque conflitti sindacali e sociali. Viceversa, si moltiplicano i contratti di breve durata o i lavori svolti soltanto su chiamata, il problema è superato. Quando convenga all’imprenditore, basta non effettuare la chiamata, oppure non rinnovare il contratto.
I governi italiani, a partire dagli anni ’90 hanno moltiplicato le tipologie di lavori flessibili con relativi contratti atipici (storico è il cosiddetto pacchetto Treu, cioè la legge che insieme ad altri provvedimenti ha introdotto il lavoro in affitto, nel 1997) nel rispetto della convinzione che la rapida circolazione del capitale deve coinvolgere il fattore lavoro « E così il lavoro è stato assoggettato a una forma di rinnovata mercificazione».
Nel lontano 1944, l’art. 1 del rinnovato statuto dell’Organizzazione internazionale del lavoro stabiliva che Il lavoro non è una merce. Successivamente, legislatore e giurisprudenza si è verificato un nuovo periodo di mercificazione, nel senso che esso deve poter essere comprato, venduto, scambiato affittato al pari di un qualsiasi arredo, una macchina, un utensile (p.154).
Insomma, l’intera scena europea degli ultimi venti anni mostra il 75% dei nuovi avviamenti al lavoro, specialmente dei giovani, con contratti di breve durata, facilmente cancellabili o non rinnovabili, breve, con contenuto precario: etimologicamente riguardano lavori per ottenere i quali occorre pregare. Ai movimenti del capitale devono corrispondere i movimenti del lavoro, cioè reddito incerto, impossibilità di costruirsi un percorso professionale, vulnerabilità (impossibilità di far altro che subire sfruttamento), che gravano ai momenti della instaurazione, applicazione, sospensione, cessazione del contratto (pp.154,155).
Questo ampliamento della disuguaglianza è giunta a livelli moralmente intollerabili: le otto persone più ricche del pianeta hanno la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale e ciò è in contrasto con tutte le proclamazioni costituzionali dell’uguale dignità delle persone e dei diritti fondamentali quali diritti universali.
In definitiva merita attenzione e partecipazione il movimento di critica e di opposizione delineato da Luigi Ferrajoli: l’esame della moderna disuguaglianza sociale e della crescente precarietà lavorativa – congiunti a un consumismo dissennato di suolo, aria, acqua – deve essere accompagnato, quindi, dalla rilettura dei classici del diritto costituzionale e del diritto penale in materia di rapporti Stato-economia-sindacato in una nuova prospettiva: una Costituzione della Terra che imponga a) limiti e vincoli ai poteri imprenditoriali e restituisca dignità al lavoro, ponendo fine alla concorrenza al ribasso tra lavoratori parzialmente garantiti e lavoratori degradati a merce, tra persone vulnerabili ridotte in servitù e persone reificate ridotte in schiavitù; b) una sindacalizzazione universale che, nella rappresentanza di lavoratrici e lavoratori, sia in grado di esercitare il diritto di veto nei confronti delle decisioni capitalistiche che incidano sulle loro vite e sul loro futuro, per pura dittatura della classe capitalistica transanzionale. Necessita quindi la ritrovata soggettività politica dei lavoratori, accomunati da lotte sociali parimenti sovranazionali, in difesa dell’uguaglianza nei loro diritti.
«Sarebbe la realizzazione del vecchio invito marxiano all’unificazione dei proletari di tutto il mondo, a sostegno di una politica del lavoro razionale, oltre che ugualitaria e garantista, informata a una globalizzazione dei diritti dei lavoratori all’altezza della globalizzazione capitalistica dei mercati » (p. 112)