Il vizioso circolo per le scelte di politica economica: e l’invisibile gabbia dorata delle istituzioni politiche 

Posti davanti ad uno scenario storico in perenne e repentina evoluzione, profondamente mutato e magmatico, le contemporanee comunità statali vivono il sorprendente avvicendarsi di fenomeni politici tra loro vicini nel tempo eppure così distanti sul piano ideologico e politico.

Sul tavolo delle relazioni internazionali, per esempio, si è passati, nel breve periodo, dal “blocco” della guerra fredda ad una diametralmente opposta impostazione, tendente alla valorizzazione del modello di una governance transnazionale o “globale”.

Ad una logica ispirata alla separazione degli ordinamenti, caratteristica tradizionale nei rapporti tra diritto interno e internazionale, è sembrata contrapporsi la tendenza verso una loro integrazione1 – con la nascita di “identità di gruppo” – specie in relazione al terreno comunitario ed europeo.

Sotto l’alveo di questa nuova inclinazione internazionalistica, i trattati commerciali2 hanno posto, poi, le premesse per i natali di un ulteriore e travolgente fenomeno: la globalizzazione3.

A enfatizzare e acuire gli effetti del nuovo corso storico l’insinuazione di due eventi antichi come il mondo, eppure manifestatisi in forme drammaticamente nuove: il terrorismo e i flussi migratori.

Ognuno dei fenomeni sin qui richiamati meriterebbe una trattazione ad hoc: sia sufficiente notare che, sulla scia di questi fenomeni, sono diverse, e in crescita, le componenti politiche e sociali di numerosi Paesi che riterrebbero i processi della globalizzazione4 e di sovra nazionalizzazione vere e proprie cause di arretramento, in termini di tutela effettiva5, per la garanzia dei diritti dell’uomo e per la cura di primari valori nazionali: ciò con particolare riferimento, rispettivamente, ai diritti sociali ed al valore della sicurezza nazionale6.

Né si può revocare in dubbio che quanto accaduto sin qui abbia prodotto significative ripercussioni sul piano interno ai singoli ordinamenti nazionali: è innegabile che la capacità normativa degli Stati si sia notevolmente ridotta in relazione alla propria domestic jurisdiction.

Da più parti si è levato il grido di preoccupazione per l’erosione della dimensione statuale7. Né si fa mistero che anche in Italia: «lo Stato ha gradualmente rinunciato alla sua sovranità economica (e quindi anche a quella politica) sia a causa del processo della globalizzazione quale “insieme multidimensionale di processi oggettivi e soggettivi” […] sia per effetto dell’integrazione europea, uno degli animatori della globalizzazione […]»8.

In spregio, per altro, a quanto potesse immaginarsi cinquant’anni or sono nei lavori dell’Assemblea costituente, dove, nientemeno, era stato sostenuto che “il divorzio fra politica ed economia è assurdo”9 e che con la Carta costituzionale si fosse solennemente “consacrata […] la indissolubile connessione tra l’ordinamento economico e l’ordinamento politico”10.

Almeno due sono stati i fattori incidenti sul classico esercizio di sovranità economica degli Stati nel vecchio continente: a) in primis – con effetti di estensione “regionalistica” – v’è stato il processo dell’integrazione economica europea; b) in secondo luogo – con efficacia globale, trascendente le classiche logiche dei confini statuali – il processo di globalizzazione.

Sul primo punto non può non condividersi, per la palmare evidenza, quanto di recente constatato da parte sensibile della dottrina pubblicistica ai temi della sovranità economica e monetaria.

«Gli Stati membri dell’eurozona (e dell’Ue, più in generale), stanno sperimentando la cocente disillusione del progetto varato a Maastricht di una solidarietà basata sulla competizione e non sulla redistribuzione»11.

La crisi del 2008 ha invero portato in luce un importante limite strutturale della ceduta sovranità economica degli Stati membri dell’Unione europea (Ue): si è infatti operata la scelta di sostituire la discrezionalità politica con una discrezionalità di natura, essenzialmente, tecnica, fondata cioè su parametri fondamentalmente numerici, nell’illusoria convinzione che la competizione del mercato e la politica monetaria unica fossero, da sole, sufficienti a ridistribuire la ricchezza fra le nazioni ei cittadini europei.

Il paradosso è che quei parametri iniziali – che oggi vincolano la sovranità economica di ciascuno Stato membro Ue – non riposavano, contrariamente alla tipica nozione di discrezionalità tecnica, su comprovati, o quanto meno comprovabili, studi scientifici delle discipline economiche, ma – come è stato brillantemente puntualizzato da insigni economisti12 – avevano, a contrario, natura squisitamente politica, con finalità politiche selettive; antitetiche per di più a logiche solidaristiche.

Gli effetti, sfortunatamente, sono stati ineludibili: si è progressivamente verificato un crescente squilibrio fra le economie di ciascuno Stato membro, nonché una potenziale disparità nel potere di promuovere politiche anticongiunturali13. Su questo punto – e sulla connessa crisi di effettività per i diritti sociali, per di più acuita dal periodo di endemica congiuntura economica – è sembrata palesarsi la potenziale cesura tra gli ordinamenti di alcuni Stati membri e l’Ue: uno scollamento tanto più grave quanto più il problema si è spostato dal versante della sovranità economica e monetaria a quello tipico della sovranità politica.

Accanto agli effetti indesiderati del processo di integrazione economica europea si è verificato un secondo, ed ulteriore, fattore destabilizzante per la sovranità economica, sviluppatosi nel solco del processo globalizzazione: ci si riferisce alla progressiva moltiplicazione, e proliferazione, di sedi “globali” adottive per importanti decisioni, “politiche”, incidenti sui rapporti economici e sociali.

Non si ha in mente le organizzazioni sovranazionali – in riferimento alle quali, più che di erosione, è corretto parlare di “cessione di sovranità” – quanto alla significativa presenza di attori economici privati (multinazionali, grandi investitori finanziari, le stesse organizzazioni non governative) in grado di influenzare indirettamente, e oltre confine, le decisioni adottate dagli Stati all’interno dei propri confini nazionali14.

In un contesto economico globalizzato – e completamente aperto al libero mercato nell’eurozona – è in sintesi sempre più avvertita la preoccupazione che – sebbene gli Stati siano formalmente liberi di adottare indirizzi politici che ritengano più opportuni – manchi, di fatto, quella vera ed effettiva indipendenza politica, essenziale all’esercizio della sovranità economica.

La pericolosa prospettiva è che, in uno scenario globalizzato e calato nel perimetro dell’eurozona, si continui a verificare uno strisciante shook di sistema, nonché un paradosso macroeconomico per i più sfortunati Stati membri dell’Ue: se , infatti, la globalizzazione “sposta” i propri capitali soltanto ove vi siano regole convenienti, disponibilità di infrastrutture affidabili, con amministrazioni pubbliche “efficienti” ed una pressione fiscale tollerabile, gli impegni europei di riduzione del debito pubblico e del disavanzo di bilancio hanno, di fatto, obbligato non pochi Stati membri, Italia compresa, ad adottare delle politiche economiche del tutto antitetiche a quelle per poter attrarre capitali dall’estero, con la tragica eventualità di cadere in un circuito vizioso per le istituzioni politiche, obbligate (in forza degli impegni solennemente assunti a livello internazionale) a “dover” crescere, sì, ma convivendo con i tagli alla spesa pubblica e l’inesorabile riduzione dei servizi. E’ come remare contro corrente.

1Per un prezioso approfondimento sui processi di integrazione tra soggetti di diritto internazionale, nonché per uno studio sulla tipologia dei fattori di convergenza che hanno contribuito alla costruzione di “identità di gruppo”, appare significativo il rimandare a M. PANEBIANCO e G. MARTINO, Elementi di Diritto dell’Organizzazione Internazionale, Milano, Giuffrè, 1997, in specie a pagina 82.

2Interessante – nell’ottica di una ricerca sulle cause del processo di globalizzazione – il punto di vista di chi consideri le primissime forme di apertura internazionale dei mercati (di globalizzazione) influenzate proprio dal ruolo, decisivo, del parallelo processo di integrazione economica europea; sul punto, F. CAPRIGLIONE, Introduzione. Ordine giuridico e processo economico nell’analisi di law and economics, in M. PELLEGRINI (a cura di), Padova, Cedam, 2012, 11.

3Per una fortunata definizione del fenomeno A. GIDDENS, Le Conseguenze della modernità: fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Bologna, Mondadori, 1994, 71 ss. Per l’autore il fenomeno della mondializzazione, ovvero globalizzazione, si esprime con “l’intensificarsi di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza, e viceversa”.

4Che il processo della globalizzazione dei mercati potesse costituire un fattore ostativo per la gestione del conflitto sociale, fermo all’uso dei tradizionali istituti democratici maturati entro i ‘porosi’ confini statuali, è stata ricostruzione “premonitoriamente” paventata da R. BIN, Che cos’é la Costituzione?, in Quaderni Costituzionali, fascicolo 2007/1, 11-52.

5Per un saggio incentrato sullo studio del problematico assetto dei diritti sociali nella crisi europea, G. FONTANA, Crisi economica ed effettività dei diritti sociali in Europa, in Forum Quaderni costituzionali, 23 novembre 2013.

6V. DELLA SALA, «Antiterrorismo e stato: dalla sicurezza nazionale alla sicurezza umana», in Quaderni di sociologia, 39/2005, 39-54.

7F. RICCOBONO, Crisi dello Stato e legittimazione democratica, in S. LABRIOLA (a cura di), Ripensare lo Stato, Milano, Giuffrè, 2003, 51 ss.

8G. LUCHENA, Moti ascensionali della sovranità economica, in Amministrazione In Cammino, 11.10.2016, 1.

9Così il democristiano Piero Malvestiti, nel suo intervento in Assemblea del 3 maggio 1947, in Atti Ass. Cost., 3502.

10Intervento dell’esponente repubblicano Ugo Della Seta, nella seduta del 7 maggio del 1947, in Atti Ass. Cost., 3682.

11A. GUAZZAROTTI, La legge dei numeri e l’illusione europea della fortezza ammodernata, in Riv. A.I.C., n. 3/2016, 11; l’autore fa richiamo a W. STREECK, Il modello sociale europeo: dalla redistribuzione alla solidarietà competitiva, in Stato e mercato, 1/2000.

12 A. BAGNAI, Crisi finanziaria e governo dell’economia, in Costituzionalismo.it, n. 3/2011; J. SAPIR, Bisogna uscire dall’euro?, Verona, Ombre Corte, 2012

13Per una riflessione sul punto, F. BILANCIA, Note critiche sul c.d. “pareggio di bilancio”, in Riv. A.I.C., n. 2/2012, 4 ss.

14Il vecchio nazionalismo ha incominciato dapprima col cedere il passo verso una sorta di cosmopolitismo insensibile all’interesse nazionale, fino ad arrivare a rendere del tutto privo di senso il «noi» inteso come insieme dei cittadini di una Nazione: ne è conseguita la perdita di indipendenza dell’economia nazionale. Sul punto, G. SILVESTRI, Lo Stato senza principe. La sovranità dei valori nelle democrazie pluraliste, Torino, Giappichelli, 2005, 76.