Il decreto legge n. 13 del 17 febbraio 2017, convertito con modificazione dalla legge n. 46 del 13 aprile 2017, che prende il nome dagli uscenti Ministro dell’Interno Minniti e Ministro della giustizia Orlando, si è posto come principale obiettivo quello di velocizzare la trattazione dell’ormai elevato numero di ricorsi giurisdizionali in materia di immigrazione.
A tale scopo non solo sono state istituite le sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, ma è stata estesa l’applicazione alle materie de quibus del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c.
Si è venuto a delineare un nuovo microsistema applicabile alle situazioni giuridiche soggettive (individuate nella protezione internazionale, che comprende il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e il diritto di asilo previsto all’interno della Costituzione all’art. 10 co. 3) che possono essere vantate dallo straniero che si trova nel territorio nazionale.
L’analisi delle norme di riferimento, dell’iter di accertamento e la individuazione dell’ampiezza della tutela offerta, se, da un lato, consente di affermare che gli stranieri godono di situazioni giuridiche che possono essere qualificate come diritti soggettivi, il cui fondamento risiede nella Costituzione agli artt. 2 e 10 co. 2, dall’altro, ha fatto emergere una tutela giurisdizionale non del tutto soddisfacente.
La lettura sistematica delle disposizioni in materia, fa scorgere come l’esigenza di velocizzare le procedure per l’esame dei ricorsi sulle domande di protezione internazionale, scopo prioritario della riforma, è stato realizzato a costo di una non indifferente compressione dei diritti del giusto processo e di difesa.
Non solo il nuovo procedimento non contempla il secondo grado di giudizio, ma un’analisi dettagliata del rito camerale di cui agli artt. 737 e ss. c.p.c. e 35-bis del d.lg. 28 gennaio 2008, n. 25 (il quale, in attuazione della direttiva 2005/85/CE, reca norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato), infatti, consente di verificare che non è prevista né una effettiva partecipazione, né una piena attuazione del diritto di difesa che possa consentire allo straniero di poter contestare i provvedimenti di rigetto, o a lui sfavorevoli, pronunciati a seguito della proposizione della domanda di protezione internazionale.
La riforma che il legislatore uscente ha adottato sul finire della legislatura, dunque, desta non poche perplessità sulla sua complessiva tenuta con principi costituzionali.
** L’articolo completo sul prossimo numero della Rivista in uscita a settembre 2018