di Giuseppe Licastro
Un recente reportage dal titolo accattivante, Motoscafi veloci fanno rotta sulla Sicilia (di L. Cremonesi, apparso sul Corriere della Sera il venti settembre scorso, p. 17), suscita senza dubbio interesse, poiché rende noto un “nuovo” modus operandi dei trafficanti (smugglers) libici di migranti.
Il resoconto riporta le dichiarazioni di un comandante dei guardiacoste di Tripoli che, sembra mettere in guardia (forse, finanche sbeffeggiare) la “politica” di chiusura dei porti adottata dal nostro Ministro dell’Interno… (emblematica appare, da ultimo, la vicenda della nave Diciotti, un caso da seguire).
Il “nuovo” modus operandi degli smugglers sembra ritornare al tempo (anni Novanta) del traffico (di migranti) ovviamente via mare, operato da Valona in direzione delle coste pugliesi, traffici che utilizzavano anche scafi veloci in grado di sottrarsi all’intercettazione (si richiama opportunamente l’accurato studio della stimata P. Monzini dal titolo Il traffico di migranti per via marittima: il caso dell’Italia, segnatamente, l’analisi dedicata all’attraversamento del Canale d’Otranto, p. 50 ss.; uno studio, parte di una ricerca di P. Monzini, F. Pastore, G. Sciortino, intitolata L’Italia promessa. Geopolitica e dinamiche organizzative del traffico di migranti verso l’Italia, working paper n. 9 del 2004, del Centro Studi di Politica Internazionale: correva appunto l’anno Duemilaquattro…). Difatti, la “nuova” strategia criminale dei trafficanti sembra proprio utilizzare motoscafi piuttosto piccoli, dotati di potenti motori, appunto confacenti a sottrarsi all’intercettazione, ma, soprattutto, (poter) conseguire l’obiettivo verosimilmente prefissato… giungere dritti dritti alle acque territoriali italiane.
Il resoconto contiene, altresì, ulteriori profili di interesse, “dettagli” non da poco, riferiti da taluni «responsabili delle milizie locali», rimasti però anonimi, «che lavorano con i guardiacoste», ossia:
– la partecipazione di una coppia italiana [sic!], addirittura marito e moglie, unitamente a due maltesi, che proprio da Malta agevolerebbero i traffici provvedendo al rifornimento di carburante degli scafi diretti in Italia;
– il possibile (occasionale) ausilio di più natanti, «una decina», partiti dall’Italia (per poi ritornare…), su cui trasbordare, all’altezza circa di Malta, i migranti a bordo degli scafi provenienti dalla Libia, allo scopo, verosimilmente, di impedire l’eventuale intercettazione di tutti i natanti… infatti risulta (sempre da tali dichiarazioni), piuttosto arduo intercettare nello stesso momento i numerosi scafi dotati di potenti motori («al massimo possiamo fermarne un paio: gli altri riescono a passare»): parrebbe, quindi, una “lucida” logica criminale, volta proprio a impedire l’eventuale intercettazione di tutti i natanti, alla peggio, disposta perfino a sacrificare una piccola parte del “carico” (…umano).
Tale “nuovo” modus operandi dei trafficanti sembra, per di più, costituire (prima facie) una nuova prova per la nostra valente magistratura, impegnata da tempo (da rammentare un primo, significativo atto della Direzione Nazionale Antimafia (ed Antiterrorismo, acronimo DNAA), ossia, le linee guida di intervento in acque internazionali, del 9 gennaio 2014, tese alla soluzione delle diverse questioni attinenti alla giurisdizione penale nazionale), impegnata appunto ad ancorare la giurisdizione penale nazionale, al fine (ovviamente) di contrastare le attività criminali degli smugglers (da menzionare che nel corso del tempo le summenzionate linee guida sono state integrate, allo scopo di adeguare la strategia di contrasto al modus operandi dei trafficanti, un aspetto da tenere costantemente aggiornato al fine di poter comprendere “in toto” la pericolosità delle organizzazioni criminali [1]: si trattava però di integrazioni alle linee guida di intervento in acque internazionali…).
Occorre quindi tenere conto della “nuova” strategia criminale posta in essere dai trafficanti (in chiave costruttiva considerare la possibilità magari di accrescere dette proposte operative della DNAA, nell’intendimento di fornire possibili soluzioni alle questioni attinenti alla giurisdizione penale nazionale che il “nuovo” modus operandi degli smugglers pone…; con particolare riferimento alla fascia di mare denominata zona contigua, al mare territoriale, dello Stato costiero, appare utile richiamare un recente rilievo di A. Maneggia, La giurisdizione negli spazi marini non sottoposti a sovranità territoriale, Milano, Wolters Kluwer Italia Cedam, 2018, p. 101: «Allo stato attuale non risulta sufficientemente consolidata nella prassi e nell’opinio juris la possibilità dello Stato costiero di estendere la propria giurisdizione legislativo-giudiziaria alla zona contigua nel settore del contrasto all’immigrazione illegale», posto che le prime linee guida della DNAA (puntualizzo ancora, del 9 gennaio 2014), menzionavano, a p. 5, la disciplina di cui all’art. 12 comma 9-bis del c.d. Testo Unico immigrazione, peraltro T.U. immigrazione più volte modificato nel corso del tempo, una disciplina che (tuttora) prevede la possibilità di esercitare taluni poteri nel mare territoriale o nella zona contigua, ossia, fermare, ispezionare, eventualmente sequestrare quindi condurre le navi adibite o coinvolte nel trasporto illecito di migranti sulla base di sussistenti motivi, presso un porto italiano).
[1] Sia consentito di rinviare al mio succinto scritto dal titolo Brevi spunti (sulla base della documentazione disponibile) sull’azione di contrasto della Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo al modus operandi dei trafficanti di migranti, in La legislazione penale, 5 luglio 2018, p. 5.