Riceviamo dalla Procura della Repubblica di Ragusa l’avviso della
conclusione delle indagini preliminari a carico di due appartenenti alla ONG
spagnola Open Arms.
Si poteva pensare che, dopo il provvedimento del Gip di Ragusa, che
aveva negato il sequestro della nave, e la sua conferma da parte del Tribunale al
quale si era rivolto il PM impugnandolo, sulla base del fatto che l’accusa non
aveva i requisiti di serietà per essere proseguita, vi fosse una ragionevole presa
d’atto della necessità di archiviare la vicenda. Così non è.
Anzi. Si prospetta un’ulteriore imputazione, estratta dal grande cappello
dei reati previsti dal codice penale: in modo, ci permettiamo di dire, stupefacente,
li si accusa di violenza privata, per aver costretto l’autorità marittima italiana a
dar loro un porto di sbarco per i migranti che avevano raccolto in mare: il porto
di Pozzallo dove sbarcarono.
La violenza e la minaccia sarebbe consistita nel disobbedire agli ordini di
consegnare i migranti ai libici, che erano sopraggiunti nella zona dove erano stati
effettuati i soccorsi, in acque internazionali; così, invece di prendere in esame se
quell’ordine non fosse manifestamente criminoso alla luce della consapevolezza
derivante dal notorio delle violenze alle quali sarebbero stati esposti i migranti se
riportati in Libia, si pretende di trasformare quella disobbedienza – udite udite –
addirittura in una violenza nei confronti delle autorità italiane, saltando così le
regole minime che giustificano da un punto di vista sostanziale il reato
contestato. Non può meravigliare allora, che, forse tradendo l’ispirazione
culturale di una simile scelta, si indichi come parte offesa specificamente e
unicamente il Ministro degli Interni, in luogo eventualmente della Presidenza del
Consiglio o del Ministro dei Trasporti.
Roma, 12 dicembre 2018
avv. Alessandro Gamberini