POSTILLA AL PARAGRAFO 2 di Uguaglianza e discriminazioni nella democrazia di mercato, di A. Bevere, in Critica del diritto, n. 1/2017, pag.127 [1].
- Il cammino della speranza.
Il rapporto tra l’alto principio dell’uguaglianza e il basso livello della sua osservanza ha acquistato un crescente interesse popolare e istituzionale in virtù dell’aggravarsi del vasto e incontrollabile fenomeno dei flussi migratori. La drammatica crisi politica, economica e sociale di vasti territori in altri continenti e nella stessa Europa costringe una moltitudine di persone ad abbandonare i paesi di origine e ad avventurarsi nella difficile ricerca di migliori condizioni di vita.
Questa emigrazione, causata dalla diseguale distribuzione del benessere, ha importanti precedenti nella storia del nostro paese che, nel secolo scorso, è stato punto di partenza di emigranti da tutto il territorio verso i paesi europei e verso le Americhe.
Appartiene invece alla storia e alla cronaca dell’Italia di ieri e di oggi la seconda ondata di emigrazione, sviluppatasi intra moenia dal Sud, dovuta alla diseguale ripartizione post unitaria delle risorse industriali e finanziarie nel territorio nazionale.
Limitandoci alla breve analisi delle disuguaglianze risalenti al secondo dopoguerra e protratte ai nostri giorni, rileviamo, in base a cifre oggettive, che solo agli emigranti nazionali è riuscito di acquisire un paritario stato di cittadinanza, sia pure a conclusione di un difficile percorso: per operai e contadini del Sud, allo sradicamento e alla perdita dei legami umani, linguistici, culturali delle terre di origine, le cronache del tempo e la storiografia aggiungono la naturale collocazione nel più basso livello del mercato del lavoro e la non naturale barriera della diffidenza e dell’insofferenza dei concittadini aborigeni.
Per gli stanziali furono impostati, a fini egualitari, programmi di investimenti nelle strutture e nel tessuto dei pubblici servizi, la cui realizzazione è rimasta incompiuta.
Il miracolo economico e l’ingresso nel novero dei più avanzati paesi industriali hanno solo attenuato le disuguaglianze territoriali, che sono comunque rimaste e si evolvono in correlazione non ad un realistico e impegnativo progetto di soluzione della Questione Meridionale, ma all’andamento delle concorrenti esigenze della parte sviluppata del Belpaese.
Con la presente crisi, i costi gravano ancor più sui cittadini meridionali, in virtù delle restrizioni nei servizi pubblici. I governi e le maggioranze parlamentari che si sono succeduti continuano a proclamare che l’asse delle politiche pubbliche è stato il raggiungimento dell’obiettivo di riservare al Mezzogiorno una quota di spesa superiore o almeno pari alla quota di popolazione, ma i conti dicono il contrario: si deve constatare il crollo di tutta la spesa pubblica a finalità strutturale che dal 2008 in avanti ha pesantemente colpito il Sud, accentuandone il divario dal resto d’Italia.
L’Agenzia per la Coesione Territoriale, che dipende direttamente dalla presidenza del consiglio, ha diffuso nel luglio del 2017 la relazione annuale che analizza i flussi di spesa 2015-2016 del settore pubblico, disaggregandoli per aree geografiche e per settori: da quelli relativi al Mezzogiorno emerge una frattura del territorio nazionale, che è accettata ormai come insanabile.
Il tasso di disoccupati è più del doppio rispetto al Nord ed è quasi 6 punti più alto rispetto alla media nazionale; nel Meridione è a rischio di povertà una persona su tre, mentre nel Nord il rapporto è uno su dieci.
Secondo il Regional Yearbook 2017, pubblicato da Eurostat, nell’Unione Europea lavora il 71,1% dei cittadini fra i 20 e 64 anni; la media nazionale è del 57,2%; la percentuale è del 44,3 in Puglia, del 41,2 in Campania, del 40,1 in Sicilia, del 39,6 in Calabria.
Se in Italia, un lavoratore su dieci guadagna il 20% in meno del minimo previsto dal contratto collettivo, maggiormente sottopagati risultano i dipendenti delle imprese minori, in particolare al Sud: riceve retribuzione inferiore il 18,8% del personale delle imprese con meno di 10 dipendenti; è sottopagato il 13,1% dei dipendenti nelle imprese con personale fino a 15 dipendenti[2].
Un primato può essere vantato nel campo del lavoro sommerso: il focus Censis-Confcooperative ha accertato che tra il 20012 e il 2015 l’occupazione regolare è scesa del 2,1%, mentre l’occupazione irregolare è aumentata del 6,3%, portando a 3.300.000 i lavoratori che vivono nel cono d’ombra non monitorato. Sul piano territoriale, secondo dati ISTAT, Calabria e Campania registrano le percentuali più alte(rispettivamente il 9,9 e l’8,8) , seguite da Sicilia (8,1), Puglia (7,6), Sardegna e Molise( 7,0). Le imprese che ricorrono al lavoro irregolare, ne riducono il costo di circa il 50%, grazie all’evasione fiscale e contributiva, mettendo una grave ipoteca sul futuro dei dipendenti, lasciandoli privi delle coperture previdenziali, assistenziali e sanitarie.
Nel trainante settore culturale, i dati di spesa pubblica sono di per sé indicativi di una strategia di disinvestimento: nel 2008, l’Italia, con lo 0,8 % del Pil era in Europa il fanalino di coda; nel 2015 si è andati allo 0,7. Questo dato poco incoraggiante è sbilanciato nella distribuzione dei fondi per territorio: il 71,2 % va al Centro Nord; il 28,8% va la Sud. Il diseguale andamento territoriale del generale declino di investimenti dello Stato si manifesta ulteriormente: nel Centro-Nord si passa da 65 euro pro capite a 24, mentre nel Sud si passa da 43 a 18.
Il generale declino di ogni investimento culturale nel Sud emerge dall’analisi della sequenza cronologica 1951-2015: dallo 0,68% del Pil nel decennio 1951-1960 si passa allo 0,85 % negli anni Settanta, per poi crollare all’0,15% nel quinquennio 2011-2015, raggiungendo negli ultimi anni un peso inferiore allo 0,1% rispetto al Pil[3].
Per il 2018, l’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca) ha così assegnato – secondo incontrollabili criteri – i fondi di investimento ai 180 atenei definiti d’eccellenza: 180 al Nord, 49 al Centro, 25 al Sud. Le università meridionali, che rappresentano il 31% del corpo docente, sono state inoltre penalizzate nella gestione del turn over, con inevitabili conseguenze: riduzione di organico, chiusura, dei corsi, diminuzione degli studenti, riduzione di entrate.
In tutto il Mezzogiorno nessuna sede universitaria è definita “di qualità” e negli ultimi anni le immatricolazioni negli atenei è diminuita di oltre il 27% a fronte dell’11% del Nord.
La percentuale di studenti che non terminano il quinquennio dell’istruzione superiore è del 40% a fronte del 25% nazionale.[4] Secondo l’analisi dell’economista Augusto Graziani, esposta in un convegno del 2005, all’inizio del secolo era invertito il dislivello culturale tra le giovani generazioni: nelle regioni del Nord, i giovani frequentemente non resistevano alla tentazione di un’immediata occupazione e abbandonavano gli studi prima di averli completati. «Siccome queste tentazioni nel Meridione sono molto tenui, le generazioni giovanili tendono a proseguire gli studi in misura molto maggiore rispetto a quello che accade per i giovani di tutte le altre regioni italiane. Il risultato è che i nostri giovani, avendo completato gli studi, sono più preparati, sono attrezzati intellettualmente da una completa formazione culturale».[5]
Si deve ritenere quindi che i nostri governi hanno rinunciato a qualsiasi obiettivo di riequilibrare le diverse aree del Paese, nella totale indifferenza dell’intero arco parlamentare e dello stesso popolo meridionale, ormai imperdonabilmente rassegnato.
Il divario si riflette nelle dotazioni effettive di servizi: ad esempio, nei trasporti ferroviari, il Sud è stato escluso dall’organica rete per i collegamenti ad alta velocità; oltre il 18% delle famiglie ha difficoltà nell’approvvigionamento idrico.
POSTILLA
Nel brano sopra riportato sono raccolti alcuni dati dimostrativi delle più notorie discriminazioni che caratterizzano una parte dell’Italia, a dispetto del principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione del 1948. E’ incontestato che gli Italiani del Meridione vivono a tempo indeterminato, sul piano del lavoro, dell’istruzione, della salute, dei servizi sociali, in incolmabili e crescenti condizioni di inferiorità rispetto ai connazionali del Centro-Nord.
Nulla di nuovo, quindi. La Questione Meridionale è oggetto da secoli di ricostruzioni storiche, di analisi economiche, di studi accademici, tanto approfonditi quanto inidonei quanto meno a rallentare l’andamento ascensionale della disparità.
Riteniamo utile aggiungere questa postilla, in virtù della attualissima funzione didascalica rinvenibile
- nella statura culturale e politica della fonte : un illustre detenuto, Antonio Gramsci,
- nella fase storica esplorata dal carcere : il primo dopoguerra dello Stato italiano,
- nel confine strutturale che il capitalismo, esplicitamente aveva programmato nel territorio e nel popolo italiani,
- nella stabile resistenza di questo Muro,
- nella conferma dell’ elevata quantità e qualità degli ascendenti del ministro Salvini.
Da “Il Risorgimento”, Editori Riuniti, 1971, tratti da Quaderni dal carcere, di Antonio Gramsci, 260-262.
«Un documento dell’Amma per la quistione Nord-Sud. Pubblicato dai giornali torinesi del settembre 1920. E’ una circolare dell’Amma, credo del 1916, in cui si ordina alle industrie dipendenti di non assumere operai che siano nati sotto Firenze (cfr. con la politica seguita da Agnelli-Gualino, specialmente nel 1925-1926, di far venire a Torino circa 25.000 Siciliani da immettere nell’industria: case-caserme, disciplina interna, ecc.): Fallimento dell’emigrazione e moltiplicazione dei reati commessi nelle campagne vicine da questi siciliani che fuggivano le fabbriche: cronache vistose nei giornali che non allentarono certo la credenza che i siciliani sono briganti. La questione speciale Piemonte-Sicilia è legata all’intervento delle truppe piemontesi in Sicilia contro il cosiddetto brigantaggio dal ’60 al ’70. I soldati piemontesi riportarono la convinzione nei loro paesi della barbarie siciliana e, viceversa, i Siciliani si persuasero della ferocia piemontese….Ricordare un libriccino di ricordi di un ufficiale ligure( stampato in una cittadina ligure, Oneglia o Porto Maurizio), che fu in Sardegna nei fatti del 1906, dove i Sardi sono detti “scimmie” o qualcosa di simile e si parla del “genio della specie” che agita l’autore alla vista delle donne….].[6]
Nord e Sud. La egemonia del Nord sarebbe stata “normale” e storicamente benefica, se l’industrialismo avesse avuto la capacità di ampliare con un certo ritmo i suoi quadri per incorporare sempre nuove zone economiche assimilate. Sarebbe allora stata questa egemonia l’espressione di una lotta tra il vecchio e il nuovo, tra il progressivo e l’arretrato, tra il produttivo e il meno produttivo; si sarebbe avuto una rivoluzione economica di carattere nazionale ( e di ampiezza nazionale) anche se il suo motore fosse stato momentaneamente e funzionalmente regionale. Tutte le forze economiche sarebbero state stimolate e al contrasto sarebbe successo una superiore unità. Ma invece non fu così. L’egemonia si presentò come permanente; il contrasto si presentò come una condizione storica necessaria per un tempo indeterminato e quindi apparentemente “perpetua” per l’esistenza di una industria settentrionale ».[7]
[1] Il saggio costituisce il testo, ampliato e corredato da note, della relazione svolta dall’A. al convegno “Uguaglianza e Discriminazioni”, tenutosi a Roma il 6 ottobre 2017, presso la Facoltà di Giurisprudenza della “Sapienza”, Università di Roma. Sono pubblicate nel medesimo numero della rivista le seguenti relazioni : Luigi Ferrajoli, Uguaglianza e democrazia; Carlo Amirante, Uguaglianza, discriminazioni, espulsioni. Modo di produzione e analisi politico-istituzionale; Silvio Gambino, Uguaglianza e discriminazioni nello Stato costituzionale sociale e nel diritto dell’Unione; Ave Gioia Buoninconti, Brevi riflessioni interpretative sul nuovo delitto di? caporalato’; Pasquale Bronzo, Le discriminazioni nel processo penale; Domenico Mezzacapo, Note Minime in tema di uguaglianza e discriminazioni nel diritto del lavoro.
[2] F. De Ponte, Meno del minimo contrattuale per un lavoratore su dieci, in La Stampa, 22 luglio 2017.
[3] S. Settis, L’Italia sta tagliando sulla cultura del Sud: lo dice Palazzo Chigi, in Il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2017.
[4] E. Galli della Loggia, Il governo e il Sud che non c’è, in Il Corriere della Sera, 21 dicembre 2015. Sulla medesima impostazione informativa cfr. M. Damilano, E’ sparito il Sud, in L’Espresso, 10 settembre 2015.
[5] A. Graziani, La questione meridionale. Collegamento tra situazione economica e criminalità, in AA.VV., Questione meridionale e questione criminale. Non solo emergenze, ESI, 2007, 17.
[6] Q. XVI.
[7] Q. XVI.