a cura di Giulia Contri Piscopo[1], SIC Edizioni, Milano, 2018

 

 

Discernimento, rappresentanza, sconcerto

 

La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, e ratificata dall’Italia con legge 20 marzo 2003 n. 77, ha introdotto nel diritto minorile un nuovo concetto, quello di discernimento, di capacità cioè, del minore, indipendentemente dall’età, di sapersi condurre secondo proprio interesse nelle relazioni familiari.

Tale concetto ha comportato e comporta un compito inedito per gli operatori del giudiziario: quello di ascoltare i minori nei contenziosi familiari al fine di tenerne conto nelle decisioni da prendere per affidi e adozioni. E sconcertante: mancherebbe, a dire di quegli operatori, un criterio univoco culturalmente e giuridicamente definito di discernimento cui richiamarsi. E’ che, in verità, è invalsa l’abitudine, in quegli operatori, a pensarsi in prima persona interpreti del ‘superiore interesse del minore’.

Sconcerto peraltro provoca in quegli operatori la nuova figura del rappresentante del minore messa in campo dalla Convenzione a promozione, per il giudizio, dell’autonomo discernimento del minore: integro o deviato che sia per vicende familiari e sociali; si tratta di farne riabilitazione oltreché promozione.

La figura del rappresentante secondo la Convenzione di Strasburgo è del resto sorprendentemente rivoluzionaria laddove afferma che essa deve essere “di fiducia del minore”, nonché “di sua scelta”: a garantirgli con ciò le condizioni di poter parlare al meglio, secondo principio di gradimento, dei suoi rapporti in famiglia nell’ambito in cui si decide il suo destino.

Promuovere l’autonomo discernimento del minore va peraltro in controtendenza alla teoria del minorenne come debole e fragile, e alla cultura della tutela e della protezione che ne consegue. Cultura che purtroppo produce sottomissione e inerzia, quando non risentimento e ribellismo.

Nel giudiziario minorile civile la cultura della tutela e della protezione troppo spesso la fa da padrona in luogo di quella dell’autonomizzazione.

 

 

Due domande

 

Il testo a mia cura di cui qui trattiamo affronta due domande che mi son posta, a distanza di vent’anni, relativamente a quella Convenzione, di cui intendo qui fare un bilancio.

La prima è: “Quale eco ha avuto la Convenzione non solo nell’autorità giudiziaria, ma anche nella famiglia, nella scuola, nella cultura, quanto a riconoscimento di discernimento al minore, di capacità a pensare cioè i propri rapporti secondo un proprio principio di gradimento? E la seconda è: “Quale è la portata della riforma sul punto del discernimento che la Convenzione introduce nel sistema giudiziario?

 

Queste due domande mi avevano già mossa in un primo tempo a promuovere un Colloquio, svoltosi nel 2009 nell’Aula magna del Palazzo di giustizia di Milano – Colloquio di cui dà conto il testo a mia cura, Minori in giudizio, La Convenzione di Strasburgo, edito da Franco Angeli nel 2012 –, e in un secondo tempo a documentare, col testo del quale stiamo parlando, alcuni casi di trattamento di minori da parte dell’autorità giudiziaria in anni successivi all’emanazione della Convenzione.

 

 

Un vuoto tra diritto e pratica dell’ascolto

 

Parto dall’eco che la Convenzione di Strasburgo ha avuto nell’autorità giudiziaria (quella nella famiglia e nella scuola ne può conseguire).

Nell’autorità giudiziaria l’eco è stata quella secondo cui i giudici – e con loro anche avvocati, Servizi, Istituti minorili diversi – hanno iniziato ad accondiscendere alla pratica dell’ascolto del minore in giudizio richiesta da Strasburgo, ma nello stesso tempo a dichiarare di aver bisogno di un orientamento professionalmente efficace per questa pratica.

Intervistati, ad esempio, nel 2013 dall’Agenzia Fra per i diritti umani, giudici di più paesi d’Europa dichiarano di aver percepito il concetto del ‘superiore interesse del minore’ come ‘un termine complesso e vago’; di aver avuto la sensazione di aver fatto qualcosa correttamente in processo, ma forse quasi solo per intuito; di avere bisogno di corsi di formazione di cui in ambito giudiziario si è completamente sprovvisti.

E in effetti Le linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore del 2010, a quindici anni dall’emanazione della Convenzione, denunciano carenze, un vuoto tra il diritto e la pratica dell’ascolto.

In merito la mia tesi è che la carenza cui si tratta di lavorare non riguardi la pratica ma il diritto stesso, e una corretta comprensione della portata del dispositivo legislativo della Convenzione.

 

 

Una riforma di carattere costituzionale

 

Qual è dunque la portata della riforma introdotta dalla Convenzione di Strasburgo?

Ritengo si tratti di una riforma vera e propria di carattere costituzionale: sganciando infatti il discernimento dal dato naturale dell’età, non c’è più fissazione del minore ad uno status di minorità per un dato naturale: il minore è ritenuto capace di provvedere in prima persona ai suoi interessi indipendentemente da quel dato naturale. E nessuno, sostituendolo, può e deve fare al suo posto i suoi ‘superiori’ interessi.

 

Sganciando la facoltà del discernimento dal dato naturale dell’età, la Convenzione apre poi all’idea di una prima Costituzione, quella originaria e originante l’umano pensiero, di fonte individuale.

Non si coglie tutta la portata della Convenzione quanto alla questione del discernimento se non la si paragona con una tradizione millenaria di pensiero sul discernimento, in cui convergono teoresi platonica e teoresi ebraico-cristiana: teoresi ambedue che fanno riferimento a un’altra Prima Costituzione del pensiero, che riserva a un’istanza superiore, alla sapienza e alla potenza divina – non umana dunque – il compimento di ragione e intelletto, sempre in difetto quanto al discernimento se lasciati a se stessi.

La cosiddetta secolarizzazione propria del moderno si limita di fatto a individuare altre istanze superiori, il diritto stesso, per esempio, o la scienza.

E’ la stessa Costituzione che delinea Platone nel Simposio: c’è una sapienza divina rispetto a cui l’uomo può restare solo povero, mancante, immerso nell’oscurità, all’altezza di produrre solo espedienti, opinioni deformate che non pervengono mai a vero e proprio discernimento.

 

 

Rappresentanza e difesa della salute

 

Nella Parte terza del libro che qui discutiamo, nel testo redatto da Giacomo Contri, Il difensore della salute. Una categoria e le sue varietà professionali, è documentata l’elaborazione che la Società amici del pensiero Sigmund Freud sta facendo delle caratteristiche, e della formazione, di chi si ponga a sostegno di un minorenne, ma anche di un maggiorenne, a difesa della sua facoltà di discernimento, e, in ultima analisi, della sua salute.

Si deve trattare infatti di un Avvocato della salute. Ne cito un passo: “La difesa della salute è, in linea di principio, anche costituzionale, di competenza originaria e inalienabile di ogni individuo nel suo pensiero e nel suo linguaggio”.

Io stessa opero come Avvocato della salute (e, in quel ruolo, come rappresentante del minore in giudizio) a difesa di un minore coinvolto in contenziosi familiari. A volte il mio intervento si può limitare a colloqui col minore per aiutarlo a riconoscere il suo stesso discernimento, ma in certi casi può essere necessario colloquiare con un Avvocato difensore legale implicato nella causa, con i genitori o con i servizi sociali. A volte mi può essere richiesto dal legale di presentargli un parere scritto. I casi da me trattati riportati nel libro documentano la convergenza da me messa in atto tra le mie valutazioni difensive degli interessi del minore e quelle dell’Avvocato difensore legale.

 

 

Casi

 

I casi più o meno eclatanti degli ultimi vent’anni che nel mio libro analizzo – a cominciare da quello di Serena Cruz che tanto scalpore fece alla vigilia della Convenzione di Strasburgo in quanto già sotto traccia poneva il problema dell’ascolto del minore in giudizio – li introduco accompagnandoli da valutazioni di giuristi e dalla giurisprudenza cui diedero luogo, nonché dai giudizi dei media implicanti in merito la pubblica opinione. Valutazioni, giurisprudenza e media ad esemplificazione del rapporto diritto statuale – discernimento chiamato in causa dalla Convenzione di Strasburgo.

L’acceso dibattito tra giuristi e nell’opinione pubblica per il caso di Serena Cruz – che chiamava in causa il problema di un possibile commercio di bambini collegabile ad un’adozione internazionale irrispettosa delle regole – configurò una contrapposizione tra chi intendeva la legge a difesa dei deboli (i bambini a rischio di tratta), e chi invece a difesa di interessi particolaristici (la salvaguardia degli affidi). Di discernimento del minore e della sua difesa non si parlò, anche se già allora emerse chiaramente che del pensiero dei propri rapporti familiari di questo minore si sarebbe dovuto far conto in giudizio, mentre la sua voce non venne né ascoltata né accolta dai giudici come quella di un interlocutore.

 

Il caso del ‘bambino di Cittadella’ – quello conteso nel 2010 tra padre e madre in conflitto tra loro e strattonato davanti alle telecamere dalla forza pubblica incaricata del suo allontanamento, con successiva indebita trasmissione del fatto a Chi l’ha visto in tv – è un caso, è stato detto, di guerra giudiziaria dei sette anni.

Qui il dettato della Convenzione è restato lettera morta: le diverse istanze giudiziarie, infatti, fino alla Cassazione, intervenienti a dirimere la questione tra genitori che trattano il figlio come territorio da conquistare, regolano poi a loro volta la spartizione del figlio senza consultarlo, oggetto di diritto senza discernimento.

Le diagnosi di patologia o di normalità affidate ai CTU non sono da considerarsi rappresentanza del pensiero del minore.

 

Il caso del bambino che si è inventato un abuso sessuale, e che si svolge tra il 2008 e il 2010, testimonia della necessità di dar credito di discernimento al minore anche laddove egli in un primo momento, come in questo caso, questo discernimento lo esercita al peggio: in un secondo tempo, cogliendo da qualcuno un orientamento a dire la verità, questo minore si rivela capace di nuovo giudizio su un proprio atto di menzogna.

Qui i periti hanno dato prova di scarsa competenza al limite della denuncia penale.

 

I casi a cura di Marisa Malagoli Togliatti e Anna Lubrano Lavadera riportati ne I figli contesi in tribunale che riporto nel testo documentano come la Convenzione di Strasburgo qui abbia contato nel produrre una pratica di ascolto assunta sotto il concetto di “soggettività giuridica” del bambino intesa come “capacità di discernimento nel gestire le relazioni”.

Resta la conclusione cui in questa sede perviene il CAM di Milano, che ha lavorato su casi al Tribunale ordinario e minorile di Milano e di Brescia con giudici minorili che si dichiarano “non del tutto in grado di rispondere alla novità della proposta legislativa” (quella di Strasburgo, s’intende). L’ascolto che è richiesto ad un giudice “è un ascolto che deve essere più qualificato di quello che può fare un giudice”, vi si afferma.

 

Le testimonianze, poi, rese, secondo un attento lavoro dell’Associazione Artemisia di Firenze, da bambini e adolescenti che vivono in famiglie violente e che hanno interloquito con un rappresentante delle Istituzioni giudiziarie o dei Servizi, confermano l’idea che quando i minori coinvolti in procedimenti giudiziari vengono riconosciuti pensar bene, si autorizzano a giudicare gli adulti con cui hanno a che fare, e a collaborare nella messa a punto di soluzioni giudiziariamente adeguate alla loro situazione.

C’è “assenza però di prassi consolidate a garanzia…di un ascolto adeguato” in questi casi, vien detto: c’è all’opera, affermo io, un’operazione educativa che pensa l’individuo come incapace, dunque da tutelare piuttosto che da rendere padrone della propria sorte.

 

 

Un caso trattato dall’Avvocato della salute

 

Qui richiamo un caso esemplare da me trattato come avvocato della salute in veste di rappresentante del minore in giudizio in partnership col difensore legale.

Il criterio che mi ha guidato è che alla difesa legale, come al giudice che deve decidere, non servono analisi psicologiche sul carattere, i sentimenti, le inclinazioni di un minore: ad ambedue servono in pratica i suoi principi regolativi nelle relazioni familiari.

Un bambino di cinque anni in affido e in attesa di adozione mi viene inviato dai genitori affidatari e dal difensore al fine di un parere sui suoi rapporti con la famiglia affidataria e con quella naturale.

Già consapevole in tenera età di un potere giudiziario che può decidere della sua vita, è bastato che io gli dicessi che il giudice mi aveva incaricata di fargli sapere cosa ne pensava lui in merito alla sua situazione familiare, che subito si è messo in moto a chiarirmi quel pensiero, cercando di vedere se fossi davvero interessata a cogliere quello che mi diceva.

Ha incominciato a disegnare, con pennarelli e carta che avevo messo a sua disposizione, su un primo foglio due adulti che si abbracciavano e che lo abbracciavano, e fu chiaro subito che quella era la sua famiglia attuale, quella affidataria, in cui si trovava bene; e su un secondo una donna scarmigliata e arcigna che non lo guardava neanche. Presa dimestichezza a parlare con me che mostravo di voler capire, invece di disegnare in un secondo momento si è messo a raccontare, e a raccontare di un ricovero suo e di sua madre in ospedale (a seguito di un attacco di schizofrenia della madre stessa che aveva tentato di buttarlo dalla finestra, ho saputo dagli affidatari).

Fantasticò di un fratello – immaginario ovviamente – che, ricoverato con lui e con la madre “che non aveva potuto tenerlo”, era poi morto.

Questo fratello immaginario era lui ricoverato in Istituto dopo quel gesto materno omicida. A dire che ormai come ricoverato in Istituto egli non c’era più: ora c’era soltanto lui nella famiglia affidataria in cui si trovava bene, e che non voleva più avere a che fare col proprio drammatico passato familiare.

A darmi prova di saper funzionare bene personalmente attraverso quei pensieri, si mise a trafficare intorno a pedali, contagiri, altezza del sellino della cyclette che avevo in studio, affermando che gli piaceva ‘governare’ le cose. A mia domanda in merito al concetto di governo da lui usato, i genitori affidatari mi dissero poi che egli aveva una particolare predilezione per Mary Poppins, “la governante che lasciava ai bambini di governarsi da sé”.

Le mie ragioni di difensore della salute, giocate esplicitamente dal difensore legale in giudizio come elaborate in partnership con me avvocato della salute hanno avuto esito positivo nel contenzioso, e l’adozione è stata decisa dal giudice.

 

 

Bibliografia

 

Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 26 gennaio 1996, www.italiaadozioni.it.

Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore adottate dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il 17 novembre 2010, www.coe.int/children.

I diritti del bambino tra protezione e garanzie, La ratifica della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, a cura di L. Strumendo e P. De Stefani, Clleup, Padova 2004.

Minori in giudizio. La Convenzione di Strasburgo, a cura di Giulia Contri, PUER, Franco Angeli 2012[2].

Alfredo Carlo Moro, Manuale di diritto minorile, quarta edizione, a cura di Luigi Fadiga, Zanichelli, Bologna 2012.

  1. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, Torino 1999.

Franco Occhiogrosso, Manifesto per una giustizia minorile mite, PUER, Franco Angeli 2009.

L’esperienza giuridica, Istituzioni del pensiero laico, Studium Cartello, SIC Edizioni, Milano 1999.

Libertà di psicologia, Costituzione e incostituzionalità, Psicologia “Psicoterapia” Psicoanalisi, SIC Edizioni, Milano 1999.

Vent’anni d’infanzia, Retorica e diritti dei bambini dopo la Convenzione dell’ottantanove, a cura di Valerio Belotti e Roberta Ruggiero, Guerini Studio, 2008.

Bambini in Tribunale, L’ascolto dei figli “contesi”, a cura di Marisa Malagoli Togliatti e Anna Lubrano Lavadera, Raffaello Cortina Editore 2011.

Isabella Merzagora Betsos, Demoni del focolare, Centro scientifico Editore, Torino, 2003.

Eligio Resta, L’arte del discernimento, MinoriGiustizia, n. 3, 2018.

(di: MinoriGiustizia, Rivista interdisciplinare di studi giuridici, psicologici, pedagogici e sociali sulla relazione tra minorenni e giustizia dei Magistrati per i minori e la famiglia, vedansi anche i numeri 1 e 3 del 2013).

 

[1]   Psicoanalista, membro del Direttivo della Società Amici del Pensiero Sigmund Freud di Milano.

[2] Si vedano in specifico i capitoli “Timor pueri initium sapientiae?di G. Contri; “Dignità del minore” di F. Piscopo; Il primato della capacità del minore” di P. Rescigno; “Habeas corpus pueri” di G. B. Contri; “Sorvegliare punire correggere” di M. Pavarini; “Il bambino tra scienza, diritto e fantascienza” di M. D. Contri; “Se Antigone va dal giudice” di R. Colombo.