di Avv. Paola Bevere
Premessa
Com’è noto la legge 26 aprile 2019, n. 36 mirava a riformare l’istituto della legittima difesa c.d. speciale (domicilio e luoghi ad esso equiparati) nonché l’eccesso colposo della stessa (artt. 52 e 55 c.p.).
La rinuncia dello Stato – sia pure estemporanea ed occasionale – al monopolio della violenza rientra nella quotidiana disciplina dell’ordine e della legalità, ma un eccessivo spazio dell’autodifesa da parte dei singoli cittadini può sfociare in un ritorno a rissosi e cruenti rapporti tra i consociati. Questo delicato equilibrio tra difesa pubblica e autodifesa privata, tra beni patrimoniali e beni personali è alla base della problematica inerente la scriminante in parola, il cui eccesso, se doloso, ci porta al di fuori dell’esimente e quindi del diritto, sfociando in punizione anticipata o vendetta.
- La legittima difesa c.d. speciale
Il contratto per il Governo del cambiamento, sottoscritto da Luigi Di Maio, Capo Politico del “Movimento 5 Stelle” e da Matteo Salvini, Segretario Federale della Lega, al paragrafo Area penale, procedura penale e difesa sempre legittima (p. 22 del contratto) stabiliva che “In considerazione del principio dell’inviolabilità della proprietà privata, si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa (con riferimento in particolare alla valutazione della proporzionalità tra difesa e offesa) che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro”.
- L’introduzione dei commi secondo e terzo all’art. 52 c.p.
Ciò che il Legislatore del 2006, con l’introduzione della presunzione di proporzione[1], non era riuscito a riformare, in concreto, era l’applicazione dei principi di diritto collaterali all’esimente e corollari dell’istituto della legittima difesa.
Dal 1930 fino al 2006 l’art. 52 c.p.[2] è stato composto da un solo comma (“Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”), il quale è stato applicato senza dubbi interpretativi di sorta, lasciando alla discrezionalità del giudice il bilanciamento degli interessi e beni giuridici tutelati, come di norma. La riforma nel 2006 scaturì, infatti, più da esigenze propagandistiche che sistematiche, per ciò fu molto criticata[3].
Sia prima, sia dopo, il varo della legge, il mainstream fu critico nei confronti della stessa idea di intervenire sull’originale testo del codice: si temeva che l’invocato superamento del requisito della proporzione con l’uso legittimo delle armi nel caso di aggressioni domiciliari conducesse al far west, ad una licenza di uccidere concessa indiscriminatamente nella difesa di interessi di natura patrimoniale[4].
Le peculiarità rispetto al comma 1 sono sostanzialmente cinque e concernono: a) limiti spaziali; b) limiti soggettivi: b.1) persone legittimamente presenti; b.2) l’arma legittimamente detenuta; nonché limiti oggettivi: c) difesa della propria o altrui incolumità; d) difesa dei beni propri o altrui in caso di: d.1) mancata desistenza ovvero d.2) in caso di pericolo di aggressione.
- a) I limiti entro i quali si applica la difesa legittima speciale sono innanzitutto di tipo spaziale, essendo nei soli casi dell’altrui introduzione o intrattenimento nel domicilio (luoghi di privata dimora, appartenenze, pertinenze, ecc.) ovvero negli altri luoghi indicati dal comma 3 dell’art. 52
c.p. (ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale) nei modi previsti dall’art. 614 c.p.
La legittima difesa speciale, opera nei confronti di determinati soggetti, ossia:
b.1) coloro che sono legittimamente presenti (proprietari, possessori, ospiti, familiari, domestici, ecc.). La limitazione ai soggetti legittimamente presenti configura una scriminante c.d. propria. Chiaramente anche un soggetto presente senza titolo, perché introdottosi anch’egli clandestinamente in domicilio altrui, potrebbe reagire, ma solo nei limiti dell’art. 52, comma 1, c.p.;
b.2) coloro che sono legittimamente detentori dell’arma ossia chi ha la licenza per il porto d’armi.
- c) La prima ipotesi, disciplinata dalla lettera a), è quella in cui l’aggredito in una privata dimora attui una reazione violenta al fine di difendere la propria o altrui incolumità, ossia i beni della vita e dell’integrità fisica.
- d) La seconda, disciplinata dalla b), concerne la difesa di beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.
d.1) La mancata desistenza da parte dell’agente dell’impresa criminosa, si sostanzia nel caso in cui si incontri l’ostacolo della presenza di una o più persone, che intimino di allontanarsi, e ciononostante l’aggressore persiste nel proprio intento delittuoso. La desistenza assume rilevanza anche quando sia minacciata l’incolumità, perché desistendo l’agente fa venir meno il pericolo, e impedisce di riconoscere nell’uso dell’arma o del mezzo idoneo, una finalità difensiva.
d.2) Il pericolo di aggressione, invece, si sostanzia in un incombere di azioni violente che minaccino l’incolumità. Ossia quelle ipotesi in cui la condotta aggressiva contro i beni patrimoniali, sia tale da ipotizzare un’evoluzione violenta non ancora attualizzata contro l’integrità fisica. Il pericolo di aggressione è necessariamente verso l’incolumità; in quanto la minaccia al solo patrimonio non potrebbe giustificare una reazione difensiva armata, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata. Che tale pericolo debba intendersi riferito all’incolumità delle persone presenti nel domicilio, oltre che da motivi sistematici, si ricava dagli stessi lavori preparatori della legge 59/2006.
L’interpretazione giurisprudenziale immediatamente successiva alla riforma ha comunque mantenuto fermo l’orientamento secondo cui devono essere accertati gli elementi base della scriminante in via preliminare rispetto alla verifica sulla proporzionalità, ed ancora oggi in modo costante e granitico la Suprema Corte ribadisce la necessità di un preliminare accertamento sulla sussistenza degli elementi strutturali della scriminante, fissati dal codice Rocco, al comma 1 dell’art. 52 c.p.
La sentenza n. 44011 del 30 marzo 2017, emessa dopo circa dieci anni rispetto alla penultima riforma, ha confermato questo indirizzo interpretativo sull’ineludibile accertamento preliminare degli elementi base, pur riconoscendo la presunzione legale di proporzionalità tra offesa e difesa: “È noto che con la legge 13 febbraio 2006, n. 59, allo scopo dichiarato di rafforzare la difesa dei cittadini a fronte del dilagare dei reati predatori commessi in luoghi di privata dimora o in luoghi in cui si svolge la personalità umana, il nomoteta ha ritenuto indispensabile aggiungere all’art. 52 del codice penale i seguenti due commi … Si è, in tal modo, introdotta una presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa che agisce quando sia configurabile la violazione di domicilio da parte dell’aggressore, ossia la sua introduzione o il suo trattenimento nel domicilio altrui contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza. In tal caso, l’uso dell’arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l’altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. In presenza di queste condizioni, dunque, non è più rimesso ad apprezzamento discrezionale il giudizio sulla proporzionalità tra l’offesa e la difesa, essendo il detto rapporto sussistente per legge, sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole. La giurisprudenza di questa Corte ha, però, precisato che non ogni pericolo che si concretizza nell’ambito del domicilio giustifica la reazione difensiva, atteso che, come suggerito all’interprete dalla collocazione della norma di nuovo conio dopo quella di cui all’art. 52, comma 1, cod. pen., restano fermi i requisiti strutturali stabiliti dalla disposizione generale: il pericolo attuale di offesa ingiusta e la costrizione e la necessità della difesa, dai quali scaturisce l’inevitabilità dell’uso delle armi come mezzo di difesa della propria o dell’altrui incolumità o, alle condizioni date, dei beni propri o altrui (Cass. pen., Sez. 1, n. 16677 dell’8 marzo 2007, rv. 23650201). Di conseguenza si è affermato che la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma 2, cod. pen., così come delineata dall’art. 1 L. 13 febbraio 2006 n. 59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell’ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione (Sez. 5, n. 35709 del 21 Cass. pen., Sez. V, n. 44011 del 30 marzo 2017, rv. 271430)”.
Ancora, di recente, è stato ribadito che “la causa di giustificazione prevista dall’art. 52, comma secondo, cod. pen., così come modificato dall’art. 1, legge 13 febbraio 2006, n. 59, non consente un’indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui, ma presuppone un attacco, o quantomeno il pericolo di un’aggressione, all’altrui sfera domestica e alle persone che in essa si trovano. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la configurabilità della cd. legittima difesa domiciliare in relazione alle lesioni procurate dal ricorrente ad un vicino, che si era introdotto nel balcone prospiciente la sua abitazione, senza alcuna intenzione aggressiva e al solo fine di raggiungere il balcone della propria abitazione, alla quale era momentaneamente precluso l’accesso attraverso la porta di ingresso)” Cass. Pen. Sez. V n. 33191 del 15/04/2019 Ud. (dep. 23/07/2019) Rv. 277003 – 01.
- La riforma della legittima difesa c.d. speciale (art. 52 commi 2, 3 e 4 c.p.) alla luce di Cass. Pen. Sez. III n. 49883 del 10 ottobre 2019.
Il legislatore con l’art. 1 della legge 26 aprile 2019, n. 36 ha rafforzato, con l’avverbio “sempre”, la presunzione di proporzione nella legittima difesa speciale. Pertanto, il comma 2 dell’art. 52 c.p. è ad oggi il seguente: “Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione”.
Nei primi commenti alla norma è stato sostenuto che tale modifica è superflua poiché non incide sull’interpretazione consolidata in giurisprudenza ed ha un valore meramente simbolico, in quanto senza la modifica del comma 1 dell’art. 52 c.p. cui si riferisce, rimangono vigenti i requisiti previsti in via generale per la configurabilità dell’esimente[5]. La proporzionalità rimane sempre strettamente legata alla necessità di difendersi e viceversa.
Si rammenta che Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel promulgare la legge n. 36/2019 ha contestualmente inviato una lettera ai Presidenti del Senato della Repubblica, e della Camera dei Deputati nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri ove ha specificato che “Il provvedimento si propone di ampliare il regime di non punibilità a favore di chi reagisce legittimamente a un’offesa ingiusta, realizzata all’interno del domicilio e dei luoghi ad esso assimilati, il cui fondamento costituzionale è rappresentato dall’esistenza di una condizione di necessità”.
In tal senso, la Suprema Corte ha subito confermato che l’inserimento, ad opera della legge n. 36 del 2019, nell’art. 52, comma secondo, cod. pen., dell’avverbio “sempre”, ha avuto il mero significato di rafforzare la presunzione di proporzione già prevista dalla norma (“non può dirsi venuta meno a seguito dell’inserimento dell’avverbio “sempre” ad opera della recente “novella”, potendo ad esso attribuirsi un mero significato rafforzativo della presunzione posta dalla norma, presunzione che, tuttavia, da un lato, riguarda la sussistenza di uno soltanto degli elementi costitutivi della fattispecie scriminante e che non esclude il giudizio sull’accertamento degli altri, vale a dire la necessità di reagire ad un’offesa in atto; d’altro lato opera diversamente a seconda che il pericolo riguardi l’aggressione alla persona oppure ai beni (in termini analoghi, v., in motivazione, Sez. 1, n. 39977 del 14/05/2019, Addis, Rv. 276949).
In quest’ottica, l’uso di un’arma – purché legittimamente detenuta – può dirsi reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all’interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, nei quali il legislatore ha ritenuto maggiormente avvertita l’esigenza dell’autodifesa, a patto che, appunto, il pericolo di offesa ad un diritto (personale o patrimoniale) sia attuale e che l’impiego dell’arma quale in concreto avvenuto sia necessario a difendere l’incolumità propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni se ricorra pur sempre un pericolo di aggressione personale.
Per contro, la perdurante esigenza di ravvisare gli altri elementi costitutivi della legittima difesa impone tuttora di ritenere che non possa dirsi scriminato l’impiego offensivo di un’arma contro la persona quando questa, pur trovandosi ancora illecitamente all’interno del domicilio, delle appartenenze o dei luoghi equiparati, non stia tenendo una condotta da cui possa ravvisarsi l’attualità del pericolo di offesa alla persona o ai beni che esiga una preventiva reazione difensiva, dovendosi questa ritenere ingiustificata (prima ancora che suscettibile di valutazione in termini di proporzione) qualora difetti il carattere della necessità della difesa. Allo stesso modo, pur a fronte della necessità di difesa contro il pericolo attuale di un’offesa diretta soltanto ai beni, la presunzione di proporzione circa l’uso dell’arma potrà dirsi operante quando il reo non desista dall’azione criminosa e sussista il pericolo – ancorché non attuale, e pur tuttavia concreto – che questa possa trasmodare in un’aggressione alla persona” (Cass. Pen. Sez. III n. 49883 del 10/10/2019 Ud. (dep. 10/12/2019) Rv. 277419 – 03).
Infine, il comma 4 dell’art. 52 c.p. (“Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”) ha introdotto una rilevante novità: la presunzione di legittima difesa.
Quindi colui che respinge l’intrusione violenta o armata da parte di una o più persone non si dovrebbe necessariamente trovare in una situazione di pericolo attuale né nella necessità di difendersi, ma potrebbe reagire, quindi, in via preventiva, anche quando il pericolo può essere evitato con condotte alternative meno lesive. Così sarebbe presunta non solo la proporzionalità tra offesa e difesa, ma anche la necessità della stessa e l’attualità del pericolo.
Rivediamo nel dettaglio le locuzioni del comma 4 dell’art. 52 c.p. Innanzitutto l’elemento di specialità rispetto ai precedenti commi è rappresentata dal carattere violento della violazione di domicilio, riconducibile all’ipotesi aggravata di cui all’art. 614, comma 4, c.p. In secondo luogo, a differenza dei commi 2 e 3, non si tratta più di una scriminante propria, ma generica. Con la locuzione “colui che compie” infatti si intende “chiunque”, quindi non solo chi è legittimamente presente, ma anche chi è sine titulo nei luoghi indicati, come ad esempio una guardia giurata o un passante. L’ipotesi in parola è quindi molto più ampia della precedente riforma non essendoci più limiti soggettivi. Pertanto non vi sono più nemmeno limiti spaziali, in quanto l’agente potrebbe essere anche distante dal luogo dell’intrusione, come ad esempio da un piano elevato dell’edificio.
Con la locuzione atto per respingere si deve necessariamente intendere una qualsiasi condotta idonea al risultato del respingimento, quindi anche, eventualmente, dotata della massima lesività.
Col il termine intrusione, invece, si porranno delle difficoltà interpretative in merito al tentativo, in quanto nei lavori parlamentari è stato respinto proprio un emendamento che prevedeva l’espressione “l’intrusione, anche tentata”. Quindi potrebbe ipotizzarsi che la facoltà di respingere sia limitata ai casi di intrusione consumata e non anche a quelli in cui l’intrusione sia ancora nella fase del tentativo. Sul punto è stato osservato che “la ratio della norma fa propendere per la ricomprensione nella stessa sia della intrusione consumata sia di quella tentata, ben potendo entrambe essere ‘poste in essere’ con violenza o minaccia di uso di armi.
Con la conseguenza, però, di un enorme ampliamento del diritto incondizionato di respingere l’intrusione, che può arrivare all’uccisione di colui che, ‘armato’ di cacciavite, stia adoperandosi per forzare la serratura del cancello di un giardino, magari senza alcuna reale possibilità di riuscita attesa la sofisticatezza del sistema di chiusura”[6].
Ancora, l’intrusione deve essere posta in essere “con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”. Il termine “violenza” può ricomprende sia la violenza alle cose, sia quella alle persone. Anche in questo caso non ci si può giovare dei lavori parlamentari essendo stati respinti sia l’emendamento che espressamente ne estendeva il significato “con violenza alle persone o sulle cose”, sia quello di segno opposto che lo limitava alla “violenza alle persone”.
Sul quarto comma dell’art. 52 c.p. non ci sono state ancora pronunce, ma probabilmente rimarrà una norma inapplicata, poiché interpretandola come una presunzione assoluta di legittima difesa, sarebbe costituzionalmente illegittima[7].
Le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, vìolano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit, ragion per cui “l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia ‘agevole’ formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa” (Corte cost., sentenza n. 183 del 2011). Dall’analisi della casistica giurisprudenziale sulla legittima difesa l’esistenza automatica della proporzione e degli altri presupposti è smentita nella realtà.
La norma sarebbe inoltra contraria all’art. 117, comma 1, Cost., in rapporto all’art. 2, comma 2, lett. a), CEDU. Il diritto alla vita appartiene anche all’intruso, la cui uccisione non si considera contraria all’art. 2 CEDU “se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario … per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale”. Rispetto alla legittima difesa con esito letale, pertanto, il requisito della necessità è convenzionalmente imposto e non può essere oggetto di alcuna presunzione legale. Infine una “presunzione di legittima difesa nel domicilio, sganciata dai requisiti della proporzione e della necessità, è incompatibile con il modello di Stato delineato dalla Costituzione: uno Stato che si fa carico della sicurezza dei cittadini (art. 117, comma 2, lett. h), che riconosce la legittima difesa come facoltà eccezionale, che non riconosce il diritto alla difesa armata (diversamente, ad es., da quanto avviene nella Costituzione americana) e che garantisce i diritti fondamentali di tutte le persone, compresa la vita e l’integrità fisica degli autori di furti o rapine, senza considerare il domicilio un luogo extraterritoriale”[8].
A suffragio di tale interpretazione vi è la giurisprudenza francese sulla medesima fattispecie (dalla quale ha tratto spunto il nostro legislatore!).
In base all’art. 122-6 del codice penale francese, sono previsti dei casi tassativi di presunzione di legittima difesa, la tutela del domicilio e, congiuntamente, della persona e del patrimonio, secondo cui: “Si presume che abbia agito in stato di legittima difesa chi ha commesso l’atto: 1° per respingere, di notte, l’ingresso con effrazione, violenza o inganno in un luogo abitato; 2° per difendersi dagli autori di furto o saccheggio eseguiti con violenza”. In virtù di questa norma viene accordata una presunzione di legittima difesa, pertanto in questi casi si inverte l’onere probatorio: è la pubblica accusa, nel processo a carico di chi ha subito per primo un’aggressione, a dover dimostrare che non sussistono i requisiti della legittima difesa, per l’appunto presunta (Cass. crim., 13 dicembre 2011, n° 10-88.699, F-D 4).
Di norma, infatti, è la persona che invoca la legittima difesa a dover provare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 122-5 (Cass. crim., 15 maggio 2002, n° 01-83.744).
Occorre però precisare che la Corte di Cassazione francese la definisce una presunzione semplice, non assoluta, quindi la prova o meno della sua esistenza può essere sempre rovesciata (“Cette présomption est simple, et peut donc être renversée”).
Infine, la Suprema Corte di Cassazione, nella medesima pronuncia, n. 49883/2019, ha ribadito che, in via generale, nella giurisprudenza della Corte costituzionale è principio costante quello secondo cui le cause di non punibilità costituiscono altrettante deroghe a norme penali generali, sicché la loro valutazione comporta strutturalmente un giudizio di ponderazione a soluzione aperta tra ragioni diverse e confliggenti, in primo luogo quelle che sorreggono la norma generale e quelle che viceversa sorreggono la norma derogatoria: un giudizio che è da riconoscersi, ed è stato riconosciuto, come appartenere primariamente al legislatore (cfr. Corte cost., sent. n. 140 del 04/05/2009, ove si richiamano in senso conforme le sentt. n. 385 del 1992, n. 267 del 1992, n. 32 del 1992; n. 1063 del 1988; n. 241 del 1983). Nell’individuare e delineare le cause scriminanti – e, più in generale, le cause di non punibilità – il legislatore ordinario deve tuttavia operare un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (Corte cost., sent. n. 148 del 02/06/1983) e, nelle poche occasioni in cui è stata chiamata ad occuparsi di questioni di legittimità costituzionale concernenti la scriminante della legittima difesa, la Corte costituzionale ha dato per scontato che l’istituto postuli la reazione ad un’offesa in atto, non essendo invece configurabile quando al momento del fatto la stessa si sia esaurita e l’agente intenda soltanto reagire alla minaccia di un male futuro ed eventuale (Corte cost., sent. n. 278 del 23/05/1990): proprio il requisito dell’attualità – si è detto – aiuta a risolvere, caso per caso, le situazioni in cui di fatto può manifestarsi l’effettività dell’aggressione che giustifica la reazione difensiva (Corte cost., sent. n. 225 del 03/06/1987).
2.1 L’eccesso colposo, art. 55 comma 2 c.p.
L’art. 2 della legge 26 aprile 2019, n. 36, ha aggiunto una nuova causa di non punibilità, inserendo all’art. 55 del codice penale il secondo comma: “Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”.
Quindi la “la punibilità è esclusa”, nonostante l’eccesso colposo, nelle ipotesi di violazione di domicilio alle condizioni sopra specificate, quando chi ha commesso il fatto (evidentemente sproporzionato) ha agito nelle condizioni di minorata difesa ovvero in stato di grave turbamento, per la salvaguardia della propria o altrui incolumità. Pertanto non risponderà del delitto colposo e in sede civile dovrà solo riparare il danno con un’indennità.
In relazione alla successione nel tempo della legge penale, la giurisprudenza di legittimità ha subito precisato che si tratta di una disposizione certamente più favorevole, in quanto ampliativa dei casi di non punibilità, rispetto alla previgente fattispecie di eccesso colposo. Pertanto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, c.p., la stessa può trovare applicazione retroattiva, anche rispetto a fatti anteriormente commessi (Cass. Pen. Sez. IV n. 28782 del 28 maggio 2019).
Nel merito della novella di recente la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare come “la nuova disposizione non abbia codificato un’ulteriore scriminante, che si aggiunge a quelle previste dagli artt.50 ss. cod. pen. Queste ultime sono situazioni oggettive di esclusione dell’antigiuridicità del fatto che, se sussistenti, si applicano in favore dell’agente a prescindere dalla consapevolezza che il medesimo ne abbia (art. 59, primo comma, cod. pen.) e che, laddove erroneamente reputate esistenti, sono parimenti valutate in suo favore, salva, in caso di colpevole errore, la responsabilità laddove il fatto sia previsto come delitto colposo (art. 59, quarto comma, cod. pen.). Si tratta, invece, di una situazione che, inserendosi nell’ambito di applicazione di una scriminante esistente, esclude la soggettiva imputabilità all’agente di condotte antigiuridiche colpose rispetto alle quali sia già stata accertata la violazione di una regola cautelare.
La situazione codificata nell’art. 55, secondo comma, cod. pen. – va in primo luogo osservato – si riferisce, tra le diverse cause di giustificazione, soltanto a quella della legittima difesa e, nell’ambito di questa, è ulteriormente circoscritta alle sole ipotesi in cui il fatto avvenga nei casi previsti dai commi secondo, terzo e quarto dell’art. 52 cod. pen.
Sul punto la Suprema Corte non ha rilevato l’illegittimità costituzionale rispetto alle altre scriminati, in violazione dell’art. 3 Cost., come sostenuto dall’Associazione nazionale magistrati all’audizione alla Camera dei deputati (cit.).
Continua la Corte, “la previsione di una causa di non punibilità connessa all’eccesso colposo per essere stati superati i limiti imposti dalla necessità nel caso disciplinato dall’art. 52, secondo comma, cod. pen. – per il quale, come detto, vige la presunzione di proporzione tra difesa e offesa – rappresenta, peraltro, oggettiva conferma di quanto argomentato supra, sub § 3.1. circa il fatto che anche nel domicilio e nei luoghi equiparati l’uso scriminato dell’arma imponga il rispetto del requisito della necessità della difesa.
In secondo luogo, la nuova disposizione si colloca in una fattispecie di per sé certamente antigiuridica, per difetto della necessità della reazione in concreto tenuta, strutturalmente configurabile quale reato colposo rispetto al quale sussiste un profilo di rimproverabilità della condotta (altrimenti, il soggetto agente andrebbe già esente da responsabilità ai sensi della previsione di cui al primo comma).
Il riferimento alle condizioni di cui all’art. 61, primo comma, n. 5), cod. pen. è sufficientemente chiaro. Sia pur dovendo ricavarsi le caratteristiche del soggetto che si sia difeso in una condizione “minorata” da una disposizione che, a contrario, aggrava in via generale la responsabilità penale per chi abbia commesso il reato profittando di tali condizioni, le circostanze da prendere in esame sono quelle «di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa». Si tratta di connotazioni oggettive che, se dal punto di vista dell’agente facilitano il compimento dell’azione criminosa sì da meritare l’inasprimento di pena (Sez. 1, n. 39560 del 06/06/2019, Souhi, Rv. 276871; Sez. 1, n. 40293 del 10/07/2013, Congiusti, Rv. 257248), dal punto di vista della vittima la quale, difendendosi, ecceda i limiti consentiti, giustificano qui la non punibilità per il reato colposo commesso proprio perché incidenti sull’impossibilità di opporre una “normale” difesa rispetto all’aggressione subita. La valutazione, dunque, dovrà essere compiuta in relazione a tale ultimo aspetto e soltanto in questi limiti sono riproponibili le letture dell’art. 61, n. 5, cod. pen. rese con riguardo alla sussistenza della circostanza aggravante. …omissis…
Occorrerà, in ogni caso, effettuare una complessiva valutazione, volta ad appurare se, in concreto, si sia realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata (Sez. 4, n. 53570 del 05/10/2017, Torre e a., Rv. 271259; Sez. 4, n. 53343 del 30/11/2016, Mihai, Rv. 268697) che possa aver oggettivamente influito sull’errata valutazione della necessità di reagire all’aggressione nel modo in cui lo si è fatto. Detta interpretazione teleologica dell’art. 55, secondo comma, cod. pen. è imprescindibile, dovendosi rifuggire da interpretazioni astratte che perdano di mira la ratio della previsione, da individuarsi nell’intento di adeguare il giudizio di rimproverabilità effettuato ex ante sul modello razionale di agente (cfr. Sez. 6, n. 49573 del 19/09/2018, Bruno, Rv. 274277; Sez. 4, n. 8058 del 23/09/2016, dep. 2017, Malocaj e a., Rv. 269127; Sez. 4, n. 9390 del 13/12/2016, dep. 2017, Di Pietro e a., Rv. 269254; Sez. 4, n. 36400 del 23/05/2013, Testa, Rv. 257112) alle particolari condizioni in cui l’azione si è in concreto verificata. Ciò che il legislatore chiede al giudice è di calare la valutazione sul superamento dei limiti imposti dalla necessità nella concreta situazione in cui il soggetto agente è venuto a trovarsi per le oggettive condizioni (di tempo, di luogo, di persona) in cui l’azione difensiva è stata posta in essere, onde verificare se queste abbiano inciso sulle modalità della reazione, significativamente ostacolandola e, quindi, “deformandola” rispetto a ciò che si sarebbe potuto pretendere da un agente razionale sottoposto alla medesima aggressione non connotata da quelle caratteristiche. …omissis… (Cass. Pen. Sez. III n. 49883 del 10/10/2019 Ud. (dep. 10/12/2019) Rv. 277419 – 03).
Riguardo al grave turbamento invece, la Corte asserisce che il nostro codice riconosce rilievo a situazioni emotive dell’agente che, pur non dipendenti da infermità, hanno influito sulla sua capacità di autodeterminarsi, prevedendo circostanze attenuanti (v. art. 62, nn. 2 e 3 c. p.) o cause di non punibilità (art. 599, secondo comma, c.p.). La stessa giurisprudenza ha talvolta riconosciuto rilevanza agli stati emotivi o passionali ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che essi influiscono sulla misura della responsabilità penale (Sez. 1, n. 7272 del 05/04/2013, dep. 2014, Disha, Rv. 259160; Sez. 1, n. 2897 del 15/11/1982, dep. 1983, Langella, Rv. 158296). “La nuova previsione, reputa il Collegio, ha qualche analogia con queste ipotesi e, tenendo anche conto del fatto che si tratta di una causa di non punibilità, rappresenta senz’altro una situazione codificata di inesigibilità della condotta che non potrebbe trovare ingresso nell’ordinamento se non espressamente prevista (cfr. Sez. 3, n. 38593 del 23/01/2018, Del Stabile, Rv. 273833; Sez. 6, n. 973 del 02/04/1993, Bove, Rv. 194384). Di fatti, anche in tempi recenti si è affermato che l’accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell’eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio “ex ante” calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in se considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d’animo e i timori personali (Sez. 1, n. 13370 del 05/03/2013, R., Rv. 255268). La valutazione di questi ultimi, nelle condizioni descritte dalla norma, diviene oggi, invece, eccezionalmente ammessa e, anzi, doverosa.
Ciò premesso, questa inesigibilità, che certamente si fonda sulla non facile ricostruzione di un elemento psicologico interno come il “grave turbamento” – che la legge vuole prodotto “dalla situazione di pericolo in atto” – del soggetto agente al momento del fatto va valutata alla luce di parametri oggettivi. Se, dunque, sono per un verso irrilevanti stati d’animo che abbiano cause preesistenti e/o diverse, d’altro lato occorrerà esaminare, con giudizio ancora una volta calibrato sulla globale considerazione di tutti gli elementi della situazione di specie, se, e in che misura, il pericolo in atto – per concretezza e gravità rispetto alla lesione dell’integrità fisica propria o altrui – possa aver determinato nell’agente un turbamento così grave da rendere inesigibile quella razionale valutazione sull’eccesso di difesa che costituisce oggetto del rimprovero mosso a titolo di colpa. Per poter fondare l’esclusione di responsabilità, peraltro, la gravità del turbamento non potrà non essere parametrata anche alla gravità del rimprovero che discenderebbe dall’applicazione degli ordinari parametri di ricostruzione del profilo di colpa. Ancora, utili parametri di riferimento per la valutazione della contingente situazione di turbamento possono essere costituiti dall’analisi circa la maggiore o minore lucidità e freddezza che hanno contraddistinto l’azione difensiva, anche nei momenti ad essa immediatamente precedenti e successivi.
In tal senso, il Presidente della Repubblica aveva chiarito che “è evidente che la nuova normativa presuppone, in senso conforme alla Costituzione, una portata obiettiva del grave turbamento e che questo sia effettivamente determinato dalla concreta situazione in cui si manifesta” (lettera citata).
Sul punto la Suprema Corte ha quindi annullato la sentenza impugnata limitatamente alla valutazione sulla causa di non punibilità di cui all’art. 55 comma 2 cod. pen, come introdotto dalla legge n. 36 del 2019, quindi ha rinviato per nuovo giudizio: “Si tratta di complessa valutazione di fatto che dev’essere ex novo necessariamente condotta dal giudice di merito alla luce della sopravvenuta disposizione normativa, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al giudizio sulla causa di non punibilità di cui all’art. 55, secondo comma, cod. pen, come introdotto dalla legge n. 36 del 2019, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di assise d’appello di Napoli. il giudice del rinvio dovrà in particolare accertare, in primo luogo, se nel far fuoco contro Xhepa provocandone la morte, l’imputato – pur eccedendo i limiti imposti dalla necessità – abbia commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, piuttosto che soltanto dei beni, poiché la nuova causa di non punibilità opera soltanto nel primo caso; in secondo luogo, superato positivamente il primo vaglio, se abbia agito in stato di minorata difesa ovvero di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto“.
Pertanto, l’interpretazione giurisprudenziale riporta a corollario dell’istituto della legittima difesa la necessità di difendere la propria o altrui incolumità, in caso di pericolo di un’aggressione personale (ingiusta) e rimanda al giudice la valutazione sulla concretezza e gravità del pericolo, tali da ingenerare un turbamento oggettivamente riscontrabile.
2.2 Ultime considerazioni sulla compatibilità con la normativa europea.
Nella medesima pronuncia, è stato anche ricordato, quanto agli obblighi internazionali assunti dall’Italia, che “viene innanzitutto in rilievo l’art. 2 CEDU, uno degli articoli fondamentali della Convenzione, non suscettibili di deroga, ai sensi dell’art. 15, in tempo di pace. Dopo aver al paragrafo 1 sancito la protezione del diritto alla vita ed il divieto di volontariamente provocare la morte di alcuno, l’art. 2, par. 2, lett. a), considera come non data in violazione di detto articolo la morte di una persona «determinata da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per difendere ogni persona da una violenza illegittima». Sul punto, la giurisprudenza della Corte EDU ha più volte precisato che il ricorso alla forza tale da poter condurre a provocare, anche involontariamente, la morte di un uomo è da ritenersi giustificato – alla luce dell’art. 2, par. 2, lett. a), CEDU – soltanto se, appunto, “assolutamente necessario” per assicurare la difesa delle persone da una violenza illegale (cfr., anche per ulteriori riferimenti, Corte EDU, Sez. 2, 14 giugno 2011, Trévalec c. Belgo; Corte EDU, Sez. 4, 25/08/2009, Giuliani e Gaggio c. Italia). Benché, nella casistica della giurisprudenza della Corte di Strasburgo, detta previsione sia stata di regola analizzata in vicende in cui il ricorso alla forza lesivo del diritto alla vita era stato attuato da organi pubblici, specialmente da forze di polizia – come avvenuto nei casi più sopra richiamati – non v’è ragione di non utilizzare analogo parametro allorquando la lesione si determini in un contesto di autodifesa tra privati, trattandosi del criterio di bilanciamento che, secondo la Convenzione, esclude la violazione del diritto alla vita in via generale affermato dal precedente paragrafo e «le circostanze in cui la privazione della vita può trovare giustificazione devono essere interpretate in modo stretto» (Corte EDU, Grande Camera, 24/03/2011, Giuliani e Gaggio c. Italia). Secondo il consolidato orientamento della Corte di Strasburgo, del resto, l’art. 2 CEDU obbliga gli Stati ad adottare appropriate misure per salvaguardare la vita di coloro che si trovano nella loro giurisdizione (v., anche per ulteriori riferimenti, Corte EDU, 15/01/2009, Branko Tomasic e aa. c. Croatia; Corte EDU, 09/06/1998, L.C.B. c. Regno Unito), misure che sono di carattere sostanziale e attengono all’individuazione di un quadro giuridico appropriato – tra cui l’adozione di norme dissuasive, dunque anche penali, idonee a prevenire la violazione del diritto – e di carattere procedurale, vale a dire afferenti al dovere delle autorità di effettuare indagini effettive in grado di assicurare che le violazioni del diritto siano represse e sanzionate (cfr. Corte EDU, Sez. 5, 19/07/2018, Sarischvili-Bolkvadze c. Georgia; Corte EDU, Grande Camera, 24/03/2011, Giuliani e Gaggio c. Italia). Analogo, forte, dovere di protezione del diritto alla vita da parte della legge degli Stati è sancito dall’art. 6, par. 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 e ratificato con I. 25 ottobre 1977, n. 881, del pari fonte di quegli obblighi internazionali che, a norma dell’art. 117, comma 1, Cost., vincolano il legislatore nazionale e l’interprete”.
In conclusione, le perplessità espresse dagli operatori del diritto – prima e dopo la promulgazione della legge in parola – sono state avvallate dalla giurisprudenza di legittimità, la quale fornisce un’interpretazione costituzionalmente orientata del novellato art. 52 c.p., ma permangono fondati dubbi sulla compatibilità delle disposizioni di cui all’art. 52 comma 4 c.p. e all’art. 55 comma 2 c.p. con i principi costituzionali e con la normativa europea.
[1] Con la legge 13 febbraio 2006, n. 59 sono stati introdotti due commi all’art. 52 c.p.: “Nei casi previsti dall’art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”.
[2] Sulla disamina dell’art. 52 comma 1 c.p., si rinvia alla monografia “La legittima difesa” di P. Bevere, Giappichelli 2019.
[3] M. Gallo, in questa Rivista https://rivistacriticadeldiritto.it/category/moralite/
[4] G. Insolera, Testo dell’audizione alla Commissione del Senato della Repubblica, 19 settembre 2018.
[5] In senso critico alla riforma del 2019: l’Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, il CNF, l’Unione delle Camere penali, audizione al Senato del luglio 2018; l’Associazione nazionale magistrati audizione alla Camera dei deputati il 10 gennaio 2019; Comunicato Area Democratica per la Giustizia “La ‘nuova’ legittima difesa: una scriminante ‘immorale’” del 26 febbraio 2019; R. DE VITO, Legittima difesa: una legge per un Paese più pericoloso, in Questionegiustizia.it, 29 marzo 2019; G.L. GATTA, La nuova legittima difesa nel domicilio: un primo commento, in Dir. pen. cont., 1 aprile 2019; R. BARTOLI, Verso la “legittima offesa”? in Penale contemporaneo, 2019; M. MICHELOZZI, Fuori dalla legittima difesa, in Questione giustizia, gennaio 2019.
[6] M. MICHELOZZI, Fuori dalla legittima difesa, in Questione giustizia, gennaio 2019.
[7] Sul punto, A. Lollo, Profili costituzionali della nuova legittima difesa “domiciliare”, in Critica del diritto n. 1/2019, p. 106 ss.
[8] G.L. GATTA, La nuova legittima difesa nel domicilio: un primo commento, in Dir. pen. cont., 1 aprile 2019.