di avv. Elia De Caro

  1. Premessa

E’ stato pubblicato nella giornata di ieri sulla Gazzetta Ufficiale il c.d. Decreto cura Italia D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 che contiene anche interventi sui penitenziari per far fronte alla recente crisi culminata nelle rivolte e proteste del 7 marzo 2020 e dei giorni successivi.

Se gli atti di violenza sono sempre da condannare, va ricordato che essi si innestano su una situazione di forte difficoltà e tensione del sistema penitenziario italiano con un allarmante ritorno del fenomeno del sovraffollamento che, come ricorda l’Associazione Antigone, vede la presenza di 61.230 detenuti su una capienza disponibile di 50.931 posti[1].

Tra gli operatori del diritto, e tra chi conosce e vive il sistema penitenziario, si è quindi levata unanime la richiesta di adozione di misure deflattive anche da sindacati di polizia penitenziaria, da direttori di istituti penitenziari e dal Conams (coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza).

Non più tardi di due mesi fa, a Strasburgo è stato presentato il rapporto nazionale sulle carceri da parte del comitato del consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e l’Italia è stata “bacchettata” anche per il fenomeno del sovraffollamento, ritornato ad essere un dato strutturale del sistema negli ultimi tre anni, dopo la stagione delle misure deflattive adottate nell’epoca della sentenza Torreggiani.

Le aspettative pertanto erano quelle di alcuni interventi in grado di riportare la popolazione penitenziaria a un numero tale da permettere migliori condizioni di detenzione e soprattutto in questa fase una efficace azione di prevenzione per i detenuti – e per tutti gli operatori che lavorano in carcere – dal virus Covid -19.

Il risultato è ampiamente deludente e le misure adottate sono contenute in tre articoli del decreto ovvero gli artt. 86, 123 e 124.

Il primo[2] assegna una somma di 20 milioni di euro per il ripristino della funzionalità degli Istituti penitenziari e per l’adozione di misure di prevenzione dalla diffusione del virus Covid-19, senza però disporre alcunchè di specifico in relazione all’adozione di tali misure a tutela del personale e della popolazione detenuta.

L’art. 124 meritoriamente estende le licenze premio per i semiliberi oltre il computo dei 45 giorni e senza tener conto di quelle precedentemente usufruite e ciò fino al 30 giugno 2020.

  1. L’art. 123 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (Disposizioni in materia di detenzione domiciliare), profili d’incostituzionalità

Come anticipato in premessa, ad oggi ci sono circa 10.000 persone ristrette in più rispetto alla capienza regolamentare e già sono stati registrati dieci casi di detenuti risultati positivi al corona virus[3]. Il provvedimento “cura Italia” mira allo “sfollamento” di soli 3.000 detenuti.

Il fulcro del provvedimento deflattivo, infatti, viene individuato in un’operazione di maquillage data da una disciplina in deroga dell’istituto dell’esecuzione della pena sotto i 18 mesi presso il proprio domicilio di cui alla L. 199/2010 (c.d., impropriamente, “Svuotacarceri”).

Questa norma già prevedeva la possibilità per il condannato di eseguire la pena detentiva pari o inferiore a 18 mesi – o il residuo pena – presso il proprio domicilio o altro luogo di cura, assistenza e accoglienza.

Il decreto interviene su tale normativa fissando una disciplina in deroga fino al 30 giugno 2020.

Da un lato vengono previste alcune semplificazioni procedurali, per cui ora sono previsti l’adozione in camera di consiglio ed un tempo di delibazione pari a 5 giorni; mentre un’ulteriore semplificazione è data dalla circostanza che l’istituto penitenziario può omettere la relazione sul trattamento e comportamento del detenuto e l’idoneità del domicilio è riscontrata in via prioritaria dalla Polizia penitenziaria. Scompaiono, altresì, due elementi di valutazione – nonché di difficile accertamento – quali l’idoneità della misura a prevenire la fuga del detenuto e la reiterazione del reato; elementi che sono stati alla base di provvedimenti di diniego di tale misura.

Dall’altro, compaiono, però, anche delle restrizioni[4], che dapprima non erano previste: la preclusione determinata dalla commissione dei reati di cui agli artt. 572 c.p. e 612 bis c.p. (maltrattamenti in famiglia e stalking) e quelle determinate dall’aver riportato una sanzione disciplinare nei 12 mesi precedenti per la violazione di alcuni casi di cui all’art 77 comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21[5] del Reg. O.P. DPR 230/2000 ossia l’aver promosso o partecipato a disordini e sommosse, l’evasione e la commissione di fatti di reato commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori.

Ulteriore preclusione è determinata dall’aver riportato un rapporto disciplinare per disordini o sommosse dal 7 marzo 2020 in poi e fino al 30 giugno 2020.

Sono infine disposti, per l’applicazione della misura e per chi ha una pena o residuo pena tra i 6 e i 18 mesi, l’adozione del braccialetto elettronico con una specifica dotazione prevista per chi è ristretto negli istituti penitenziari e di una lista con l’indicazione che, in caso di carenza della disponibilità, usciranno progressivamente i detenuti con un residuo pena più prossimo ai sei mesi.

Tale inciso, di cui al V comma dell’art 123, fa dubitare sull’applicabilità a questo istituto del principio maturato nella giurisprudenza di legittimità in ordine ai dispositivi di controllo a distanza di cui al 275 bis del codice di rito – e solidificatosi con la pronuncia delle Sezione Unite della Cassazione n. 20769 del 28 aprile 2016 per cui in caso di indisponibilità il giudice può valutare se concedere gli arresti domiciliari o la custodia cautelare[6]. Anche pronunce successive riconoscono come il Giudice possa subordinare la concessione della misura alla preventiva disponibilità del dispositivo di controllo elettronico a distanza[7].

Qualora emergesse un orientamento restrittivo, saremmo di fronte ad una contrazione dell’istituto e non ad una sua espansione.

Si tenga conto che, dai dati del Ministero della Giustizia[8], risulta che negli ultimi tre mesi appena decorsi hanno usufruito di questa misura circa 500 detenuti (di cui il 30% stranieri e meno del 10% donne), per cui bisognerà verificare nei tre mesi di vigenza della disposizione in deroga quanti avranno avuto effettivamente accesso alla stessa, al fine di poter sciogliere il dubbio sulla sua natura espansiva o meno di una deflazione carceraria.

Un elemento critico di sicuro rilievo è la previsione, pressoché inedita in un testo legislativo in materia penale, di un automatismo preclusivo d’accesso determinato, non da una precedente condanna, ma dall’aver riportato una sanzione disciplinare e financo un rapporto per disordini e sommosse dal 7 marzo 2020 in poi e fino alla vigenza del decreto.

Laddove, data la poco definita nozione del termine “disordini”, si dovesse avere un uso cospicuo di tali contestazioni disciplinari si assisterebbe ad un’ulteriore contrazione della misura, oltre al dato – al momento indisponibile – di quanti abbiano riportato tali sanzioni che inibiscono l’accesso alla stessa.

Sorgono dubbi di costituzionalità su tale automatismo preclusivo integrato da una contestazione disciplinare. Come la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ribadito di recente con la sentenza n. 263 del 6 dicembre 2019 [9], in materia di nuovo ordinamento dell’esecuzione minorile e preclusioni date dal 4 bis O.P., vi è contrasto con l’art. 27, comma 3, e 31, comma 2, Cost., perché l’automatismo, che si fonda su una presunzione di pericolosità basata solo sul titolo di reato commesso, impedirebbe una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile.

Plurime sono le pronunce emerse anche in relazione ai maggiorenni sul contrasto con la finalità rieducativa della pena di preclusioni d’accesso basate su rigidi automatismi legati al titolo di reato.

Si assiste ad un’esclusione sulla base di un’irragionevole automatismo, integrato da una sanzione disciplinare e financo da un rapporto disciplinare, che  riesce a superare indenne il controllo di costituzionalità solo se, nell’operazione di bilanciamento compiuta in questi casi dalla Corte costituzionale, emerga un controinteresse che risulti prevalente (vedi sentenza  Corte Cost. n.112 del 2014).

Quando la Corte rimuove un automatismo illegittimo si preoccupa di dare al Giudice il potere, originariamente negato dal Legislatore, di effettuare l’apprezzamento del caso concreto, eliminando quella lesione dell’equilibrio, generato dall’automatismo, tra i diversi interessi coinvolti nel caso di specie.

La Consulta così afferma che «all’irragionevole automatismo legale occorre dunque sostituire – quale soluzione costituzionalmente più congrua – una valutazione concreta del giudice (così nella sentenza della Corte Costituzionale n.7 del 2013).

L’insieme dei provvedimenti adottati appare, pertanto, inidoneo a realizzare quella contrazione di numeri, auspicata da tutti gli operatori del settore e richiesta (con un documento sopra citato) da diverse associazioni, che tutelerebbe la dignità umana dei reclusi e quella professionale di tutte le persone che lavorano negli istituti di pena, nonché la salute di entrambi.

 

[1] https://www.antigone.it/news/antigone-news/3283-affrontare-l-emergenza-per-la-salute-contro-l-isolamento-per-la-dignita-le-proposte-di-antigone-anpi-e-arci. Il dato viene fornito in un appello formato con altre associazioni quali CGIL, Anpi e Arci per l’adozione di diverse misure deflattive in grado di decongestionare il carcere.

[2]Fermo quanto stabilito dagli articoli 24 e 32 della legge 26 luglio 1975, n. 354, al fine di ripristinare la piena funzionalità e garantire le condizioni di sicurezza degli istituti penitenziari danneggiati nel corso delle proteste dei detenuti anche in relazione alle notizie sulla diffusione epidemiologica a livello nazionale del Covid-19, è autorizzata la spesa di euro 20.000.000 nell’anno 2020 per la realizzazione di interventi urgenti di ristrutturazione e di rifunzionalizzazione delle strutture e degli impianti danneggiati nonché per l’attuazione delle misure di prevenzione previste dai protocolli di cui all’art. 2, comma 1, lettera u) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 8 marzo 2020. …omissis…”.

[3] Secondo il Garante nazionale dei detenuti, nel comunicato stampa del 18 marzo 2020, “Il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha comunicato ieri la presenza di casi di positività tra alcuni detenuti. Si tratta di numeri molto contenuti (dieci) e di persone che in taluni casi non erano ancora entrate in contatto con il resto della popolazione detenuta, grazie al triage che viene fatto a tutti i nuovi giunti. Negli Istituti viene applicato l’isolamento precauzionale in appositi reparti che sono in via di realizzazione in tutte le carceri”.

[4] “…accede alla misura salvo che riguardi: a) soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale; b) delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale; c) detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell’articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall’articolo 14-ter della medesima legge; d) detenuti che nell’ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all’articolo 77, comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230; e) detenuti nei cui confronti sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell’articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse a far data dal 7 marzo 2020; f) detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato”.

[5] 18) partecipazione a disordini o a sommosse; 19) promozione di disordini o di sommosse; 20) evasione; 21) fatti previsti dalla legge come reato, commessi in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori.

[6] La Suprema Corte, in motivazione, ha precisato che, all’accertata indisponibilità del congegno elettronico non può conseguire alcuna automatica applicazione nè della custodia cautelare in carcere, nè degli arresti domiciliari tradizionali.

[7] Cass. pen. Sez. VI Sent., 17/01/2018, n. 5543

[8] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.page?frame10_item=1

[9] Sul punto si veda La nuova normativa sulle misure extramurarie. Un no agli automatismi dalla Corte Costituzionale di Elia De Caro in “Guarire i ciliegi” V rapporto Antigone sugli istituti di pena minorili.