Napoli, 12 gennaio 2022

Nell’approssimarsi del cinquantenario della nascita della rivista “Critica del Diritto” (fondata il 21 marzo 1974 da Antonio Bevere) è stata cambiata la casa editrice, ossia l’Editoriale Scientifica.

https://www.editorialescientifica.com/shop/catalogo-riviste/rivista/critica-del-diritto.html

 

La “lunga durata” di Critica ha consentito di  attraversare stagioni e momenti storici del nostro Paese con sguardo tecnico non disgiunto da un chiaro orientamento politico e culturale, analizzando le torsioni regressive che hanno caratterizzato la storia delle istituzioni repubblicane nel corso degli ultimi 40 anni e allargando  l’orizzonte di discussione dei temi cari alla rivista anche a livello internazionale: ciò non soltanto in ragione dei numerosi contatti con autori stranieri che la rivista già può vantare, ma anche perché una serie di argomenti possono essere meglio compresi ed analizzati, dal punto di vista nazionale, soltanto attraverso il confronto e la comparazione con esperienze giuridiche altre rispetto alla nostra.

L’ impegno si muoveva – e si muove – nella convinzione del positivo impatto del conflitto sociale, finalizzato alla reale vigenza dei valori costituzionali, sulla formazione e sull’interpretazione del diritto penale, nonché delle sue principali articolazioni nel diritto costituzionale e nel diritto del lavoro.

I giuristi progressisti entrarono in quel tempo e negli anni immediatamente successivi in aspra polemica con la sinistra storica e con i suoi guardiani dell’ortodossia ermeneutica, i quali ritenevano eccessivamente liberali gli orientamenti giurisprudenziali sulla contestazione operaia e studentesca.

Il garantismo democratico di quegli anni era fonte standardizzata di garanzia, secondo i principi costituzionali, per una pena mite, per il rispetto della presunzione di non colpevolezza, per il riconoscimento della eccezionalità delle misure coercitive e delle misure di prevenzione, per la difesa dalle violenze delle forze di polizia esterne e interne al carcere.

Di qui il costante e attuale rifiuto delle ideologie autoritarie o populiste che pensano il penale come arma, puntano a risolvere le mutevoli questioni economiche e sociali attraverso il paradigma punitivo e l’appagamento spettacolare di una brama repressiva radicata nei governanti e nei governati.